Colombi (UILPA). Merito e retribuzione. Per favore, non prendeteci in giro

Di recente sono stati diffusi i dati aggiornati sulle reali retribuzioni dei dipendenti pubblici e sul loro andamento nel tempo rispetto all’inflazione. E così da qualche giorno si sente parlare del fatto che gli stipendi nella P.A. sono inadeguati e comunque, a parità di inquadramento, mediamente inferiori a quelli del settore privato.

Salutiamo tutti coloro che per anni hanno attaccato i troppo ben pagati lavoratori pubblici e che oggi si accorgono del problema con un caloroso: benvenuti nel meraviglioso mondo P.A. Ma cos’è questo mondo di cui polittici e giornalisti parlano senza conoscerlo? È il mondo nel quale col 30% in meno di personale rispetto a 15 anni fa e con una complessità di lavoro enormemente superiore viene comunque mandata avanti la Pubblica Amministrazione.

E qual è il messaggio che oggi si sta mandando a questo mondo esausto per affrontare i bassi stipendi? Che il recupero dell’inflazione si può garantire solo al dipendente in grado di realizzare performance strepitose. Perché è il merito che fa la differenza. Allora, intanto bisognerebbe chiarire cosa si intende per merito dato che tra gli scienziati sociali non c’è accordo. Quindi si tratta di un’opinione. E poi il merito presuppone una situazione ideale mentre, per diretta responsabilità della politica, la condizione del lavoro nella P.A. è vicina al collasso in tantissimi uffici e in particolare nelle amministrazioni del comparto Funzioni Centrali.

Viene da pensare che se di merito si deve parlare ciò dovrebbe valere anche per i politici perché anche la politica è una professione. Quali sono i meriti della politica nella gestione dalla P.A. da oltre vent’anni a questa parte? Gli stipendi sono adeguati ai risultati? Direi proprio di no. Allora come si misura il merito? In base ai profitti dell’azienda? Può essere un criterio, ma non vale per l’economia pubblica. La polizia penitenziaria non produce profitti. E secondo la logica del merito che ci viene gabellata la conseguenza sarebbe che il corpo della polizia penitenziaria va chiuso. Siccome sarebbe un’insensatezza siamo arrivati al dunque: l’ideologia del merito è una derivazione dell’individualismo neoliberista. Premiamo i più meritevoli e tutto funzionerà meglio? No, e nessuna organizzazione può funzionare su questa base. Tantomeno la P.A., storicamente soggetta a clientelismo e nepotismo grazie all’ingerenza della politica.

Se si vuole davvero far funzionare meglio la P.A. italiana vanno presi di petto i problemi reali che l’attanagliano. Ecco un parziale elenco. Nella stragrande maggioranza degli uffici l’organizzazione del lavoro è inadeguata, in molti casi è pessima, in qualche caso è disastrosa. Confusione normativa, metodi di lavoro antiquati, burocrazia gestionale di ispirazione sabaudo-borbonica, incarichi di responsabilità assegnati con criteri clientelari. Per non parlare della sarabanda di consulenze esterne di dubbia utilità che interferiscono con la normale operatività delle strutture.

D’altronde, questo è il frutto delle grandi riforme della P.A. introdotte negli ultimi 15 anni, i cui principali obiettivi (tutti centrati) sono stati quelli di:

 

Quando tutto è schiacciato verso il basso, quando le strutture non hanno i mezzi e le risorse umane per garantire standard adeguati di qualità del servizio, quando la programmazione viene effettuata in maniera improvvisata e incoerente (consultare la voce PIAO per saperne di più), di quale merito vogliamo parlare? Di quali performance da migliorare? Di quali eccellenze da premiare?

Per favore, non prendeteci in giro. Gli strumenti premiali nel settore pubblico esistono e sono regolati dai contratti collettivi di lavoro. I criteri per misurare la produttività e per distribuire le quote di salario accessorio si discutono ai tavoli della contrattazione decentrata. È attraverso tali strumenti, oltre al CCNL, che le retribuzioni dei pubblici dipendenti possono trovare una reale difesa dall’inflazione, se i fondi per le risorse decentrate venissero adeguatamente incrementati e non fossero bloccati da tetti di spesa imposti per legge.

Togliamoci dalla testa una volta per tutte l’assurdo mito dei pochi bravissimi e misconosciuti supereroi che meriterebbero di guadagnare il doppio, ma non si può perché i soldi servono a pagare la massa dei mediocri. Finiamola con questa retorica sennò la storia finirà così: la maggiore retribuzione andrà in tasca di chi non se lo merita per i noti favoritismi, traffici clientelari, nepotismi e protezioni della politica.

Nella P.A. si deve ragionare in termini di staff da organizzare, coordinare e valorizzare, non di capi carismatici da esaltare. E se la qualità del prodotto è scarsa, vuol dire che le condizioni di produzione sono sbagliate e vanno modificate. Il che significa ridare centralità al sistema partecipativo rispetto alla definizione dei percorsi professionali, all’organizzazione del lavoro e ai criteri di corresponsione del salario accessorio in funzione della produttività. Ma soprattutto, significa rinnovare i contratti scaduti prevedendo incrementi tabellari a prova di inflazione. Questa è la vera leva retributiva in grado di allineare il lavoro pubblico a quello privato. Esattamente ciò che il governo si è ben guardato dal fare nell’ultima legge di bilancio.

 

Sandro Colombi, Segretario generale UIL Pubblica Amministrazione

Roma, 27 gennaio 2023

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