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Attrarre talenti , ma ogni azienda deve misurare le sue strategie di recruitment

Articolo. Saper attirare e coinvolgere i migliori giovani fa sempre più parte del modello di business di un’impresa. Ma occorre sapere valutare l’efficacia e il rigore delle azioni messe in campo. Predisporre criteri e parametri scientifici possono supportare questa valutazione

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Fonte: WorkMonitor 2022 Randstad

La reputazione come punto di partenza

Raccogliere, valutare dati e informazioni. Misurare. È il nuovo imperativo dentro a un sistema complesso che ha bisogno costantemente di verificare il valore, l’efficacia e la bontà di ogni azione. Dalla sostenibilità, alla finanza etica, dall’economia circolare fino ai principi di Esg è dimostrato come risulta facile affermare che si è impegnati e protagonisti green di uno sviluppo a impatto zero. A parole almeno. Ogni giorno però compaiono casi di greenwashing che invece smentiscono quelle dichiarazioni. A danno dell’immagine e del business aziendale.

Correre ai ripari ha significato definire con criteri e rigore scientifici parametri di misurazione per valutare, controllare e sostenere il reale impegno in sostenibilità di un’impresa. Criteri e logiche oggettivi per governare strategie aziendali e investimenti capaci di stimolare correttamente l’azione aziendale verso un impatto positivo su ambiente e società. È su queste misure che oggi si costruisce e viene trasmessa una buona o una cattiva reputazione aziendale. Che fa stare o no sul mercato in termini di competitività.

Passare dai processi industriali e prodotti aziendali a una valutazione del capitale umano il passo è brevissimo. E dovuto. La reputazione percepita di un’impresa, come l’insieme di valori positivi che la ispirano, oggi misura sempre più anche una nuova dimensione, il grado e la capacità di attrattività dell’impresa, e dell’imprenditore stesso, come persona, verso i giovani e i talenti.

 

La reputazione come valore attrattivo

L’immagine percepita all’esterno dell’azienda “pesa” la sua capacità di attirare le risorse migliori e di portarle a bordo. Per chi è già dentro , invece, diventa il metro di valutazione per decidere se continuare a restare un suo collaboratore: l’86% delle persone non lavorerebbe, e non farebbe nemmeno domanda per lavorare in un’azienda con un cattiva reputazione. E il 70% prima di candidarsi a un’assunzione fa ricerche sulla storia e sull’immagine aziendale.

Fenomeni come le Grandi dimissioni (solo in Italia oltre 1,5 milioni di persone si sono dimesse dal loro posto) e ora il nuovo fenomeno della Quiet quitting (la tendenza della Generazione Z a un impegno non smodato nel lavoro in attesa di trovarne uno più soddisfacente e dove si lavora meglio, visto che un’indagine Gallup evidenzia che il 39% dei lavoratori è sotto stress quotidiani e malessere diffusi) se da un lato stanno allargando la distanza fra i due termini del mismatching (offerta e domanda), dall’altra impongono di riscrivere profondamente anche le strategie di employer branding, quelle azioni per aumentare la consapevolezza e la sponsorizzazione di un’impresa per attrarre risorse e nuove competenze.

 

Parametri scientifici per valutare le azioni

Che cosa c’è di nuovo? I numeri dicono che è in atto un importante cambiamento di potere. Le persone, a partire dai giovani, hanno riconsiderato le loro priorità, la loro scala di valori rispetto al lavoro. Oggi il potere di scegliere l’azienda dove lavorare è nelle loro mani. E le imprese? Devono rivedere il loro approccio alla capacità di attirare e di trattenere le persone in un mercato che si fa sempre più concorrenziale. Il coltello dalla parte del manico, verrebbe da dire, ce l’hanno i giovani migliori. Scelgono loro dove investire le proprie competenze e il loro futuro professionale e personale. E lo fanno dove meglio riescono a conciliare il lavoro con i loro valori. Il loro approccio è cambiato.

A partire dalla Generazione Z, giovani fra i 18 e i 25 anni. Ma il contagio declinato su variabili solo leggermente differenti, attraversa prima la Gen Millenial (26-41 anni), poi la Generazione X (42-57 anni) fino a coinvolgere il giudizio dei lavoratori più maturi, i baby boomers (58-64 anni). Priorità come atmosfera di lavoro, una visibilità del percorso di carriera, temi come inclusione e diversità, equilibrio fra vita lavorativa e privata (work-life balance), la possibilità di lavoro da remoto (smart working), l’utilizzo di tecnologie avanzate, ma anche contenuto del lavoro, retribuzione e benefit sono tutte dimensioni che i potenziali dipendenti oggi cercano in un’azienda. L’impresa, proprio per intercettarli con maggiori efficacia deve avere presente queste domande, conoscerlee tenere sotto controllo.

 

E monitorare in modo scientifico, dall’inizio, l’impatto degli interventi in campo per capire se gli effetti sono legati al merito delle misure o ad altri fattori esterni.
Una strategia di employer branding resta la via maestra per essere attrattivi. Ma ogni singola azione dovrebbe essere affiancata anche da indicatori, da parametri, standard e da criteri di misurazione delle capacità di essere efficaci con le azioni di attrattività.

Conoscere la propria posizione

Le variabili in gioco sono diverse e scegliere su quale investire di più – recruitement, welfare, work life balance, clima aziendale, retention, carriera - significa dare priorità e coerenza a un obiettivo aziendale piuttosto che a un altro. La scelta, per essere corretta, deve poggiare sulla consapevolezza di dove si è posizionati in partenza lungo una scala di performance offerte. Perché, sottolineano gli esperti, «l’employer brand di un’azienda esiste comunque, e viene sperimentato ogni giorno da chi è all’interno e all’esterno dell’impresa». Essere in grado di misurare in modo preciso con parametri standardizzati e oggettivi le proprie azioni è una verifica di quanto si è capaci di percepire correttamente le domande che arrivano da fuori, dai giovani talenti.

 

Non è un passaggio indifferente: ogni strategia di attrattività è un pezzo del modello di business dell’impresa e, come ogni parametro di bilancio, deve poter essere misurata scientificamente, avere un rating e un benchmark. E in mezzo un metro che misuri la relazione fra azioni e obiettivi.

Misurare le strategie per costruire una reputazione

La reputazione aziendale diventa attrattività

Il primo passo per essere attrattivi è verificare e misurare la propria capacità di comunicare quanto i propri valori sono in linea con quelli espressi e ricercati dai migliori giovani e talenti sul mercato.

Misurare lo stato attuale come situazione di partenza

Conoscere dove si è collocati anche rispetto alla concorrenza in termini di attrattività significa metter a punto parametri di valutazione oggettivi su cui misurare posizione e progressi in termini di employer branding.

La misurazione per capire dove si vuole arrivare

Raccogliere tutte le informazioni e i dati rispetto alle variabili sulla propria attrattività aiuta a mettere in risalto quali sono gli aspetti ancora da ottimizzare in vista degli obiettivi che si vogliono raggiungere.

 

Attrattività per un giovane non è solo stipendio

È anche la retribuzione, sia chiaro. Ma per proporsi a un giovane l’azienda deve essere in grado di capire in quale punto della scala si colloca nel offrire un contesto di lavoro che renda soddisfatti i talenti.

Analizzare i bisogni e verificare le proprie risposte

Il primo passo è saper cogliere i bisogni , le aspettative e i desideri dei giovani che si vogliono portare in azienda. Ma poi occorre saper valutare con parametri oggettivi quanto l’offerta aziendale è coerente.

Misurare la capacità di anticipare le risposte

Saper leggere i bisogni e le aspettative e rispondere in anticipo ai desideri dei dipendenti è il risultato di una capacità di analizzare costantemente i risultati dei monitoraggi o dei feedback ricevuti.

 
Simone Franzò

Professore alla School of Management del Politecnico di Milano

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In che modo l’employer branding può rappresentare una leva di successo per l’impresa?

L’employer branding è ormai un prerequisito per ogni strategia di recruiting. La stragrande maggioranza dei candidati effettua ricerche sulla reputazione dell’azienda online. Difficilmente qualcuno vorrebbe andare in una azienda con una cattiva reputazione. L’elemento fondamentale sia per le piccole che per le grandi imprese è quello di garantire coerenza tra la strategia di comunicazione e l’effettiva pratica in azienda. Vanno quindi distinte le aziende che fanno solo marketing rispetto a quelle che fanno davvero quello che promuovono.

Quali sono i canali e i contenuti da promuovere per attrarre i giovani?

I social media sono un importante punto di aggancio con giovani e talenti. Sono diventati uno strumento importante anche per le Pmi perchè permettono di avere uno spazio di visibilità gratuito. Possiamo dire che hanno permesso di democratizzare la comunicazione. Anche le aziende più piccole possono trarre vantaggio da questi strumenti perché in molti casi sono più flessibili ed in grado di intercettare i trend per farli propri e trasferirli più rapidamente all’interno dell’organizzazione. Tra i contenuti, bisogna fare leva sul divulgare il senso di appartenenza dei dipendenti. Il parere dei lavoratori è molto molto efficace tra le forme di comunicazioni. Fra pari ci si intende.

Come sono messe le imprese in termini di cultura della sostenibilità?

Da un punto di vista culturale non è facile scardinare il tradizionale senso comune per cui l’impresa deve solo fare profitto. Questa è una condizione necessaria ma non sufficiente. Bisogna collegare la sostenibilità economica alla sostenibilità verde e sociale. Questo significa curare l’impatto dei propri prodotti e servizi tenere relazioni virtuose con il territorio e i propri collaboratori. Per adottare questi principi servono nuove capacità manageriali che le imprese non sempre hanno. Le aziende devono formarsi su questi temi. La sostenibilità oggi ha bisogno di due cose: formazione e informazione.
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