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Caro-energia, accelerare lo sviluppo delle rinnovabili

Articolo. «Il decreto Sostegni è apprezzabile, ovviamente, anche se, a mio avviso, è tardivo. L’allarme era già molto forte dallo scorso giugno», ricorda il presidente della Camera di Commercio di Bergamo, Carlo Mazzoleni. «La misura non affronta il problema energetico, un problema strutturale in Italia da anni. Manca un piano energetico nazionale, indispensabile in un Paese “trasformatore” e “importatore” di energia».

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Pannelli fotovoltaici e impianti eolici

«Il decreto Sostegni è apprezzabile, ovviamente, anche se, a mio avviso, è tardivo. L’allarme era già molto forte dallo scorso giugno», ricorda il presidente della Camera di Commercio di Bergamo, Carlo Mazzoleni. «La misura non affronta il problema energetico, un problema strutturale in Italia da anni. Manca un piano energetico nazionale, indispensabile in un Paese “trasformatore” e “importatore” di energia».

Il decreto Sostegni di gennaio 2022 del governo porta lo stanziamento complessivo contro il caro-energia a 5,5 miliardi. Le ultime risorse stanziate ammontano a 1,7 miliardi di euro e saranno usate per annullare le aliquote sugli oneri di sistema del primo trimestre applicate alle utenze con potenza pari o superiore a 16,5 kW e per offrire alle imprese energivore, 3.800 attività che hanno subito un rincaro del 30% dei costi elettrici, un credito di imposta pari al 20% delle spese sostenute per le bollette.

Interventi per le imprese

Gli attesissimi aiuti sulle bollette si concentrano ora più sulle imprese, visto che il primo intervento inserito in manovra da 3,8 miliardi era pensato soprattutto per offrire aiuto alle famiglie nei primi tre mesi del 2022. Le ultime risorse proverranno dai proventi delle aste delle quote di emissione di anidride carbonica, ovvero le aste Ets, Emission Trade System (Sistema di scambio di emissioni).

Un altro intervento anticipa la riflessione più ampia sulla tassazione degli extra-profitti di chi guadagna dai prezzi alti dell’energia. Un «meccanismo di compensazione» sul prezzo dell’energia prodotta da impianti a fonti rinnovabili arriva dal primo febbraio al 31 dicembre 2022, in modo da alleggerire in parte gli oneri di sistema sulle bollette. In pratica, il Gestore dei Servizi Energetici (Gse) calcolerà la differenza tra i prezzi attuali e i prezzi medi dell’energia prodotta fino al 2020 dagli impianti solari, idroelettrici, geotermici ed eolici incentivati con vecchi sistemi. I produttori dovranno versare al Gse la differenza su questi profitti extra, oppure la incasseranno qualora la differenza fosse negativa.

«Misure insufficienti»

Il salasso che attende nel 2022 famiglie e imprese è stimato in 70 miliardi. Il presidente di Federacciai, Alessandro Banzato, osserva: «I provvedimenti del governo sono largamente insufficienti. Vogliamo sperare che siano solo l’inizio di una serie di altri interventi più strutturali. Ci aspettiamo delle misure di vera politica industriale e non interventi congiunturali, non sufficienti a calmierare i prezzi dell’energia elettrica e del gas, per noi vitali». «Le misure per contrastare l’emergenza energetica presentano, per ora, criticità rilevanti nel medio-lungo periodo – commenta Alessandro Spada, presidente di Assolombarda – anche se è certamente positivo l’azzeramento degli oneri di sistema per il primo trimestre 2022 per le utenze con potenza disponibile pari o superiore a 16,5 kW, anche connesse in media e alta/altissima tensione, perché coinvolge tutte le imprese».

Assoutenti giudica nettamente deludenti le ultime misure del governo per contrastare il caro-bollette. «Se davvero si vuole riportare le tariffe di luce e gas a livelli accettabili  – afferma il presidente, Furio Truzzi – servono almeno 30 miliardi di euro da reperire nel corso del 2022. Il governo può trovare queste risorse già oggi, tassando gli extra-profitti delle società energetiche, pari a 12 miliardi di euro, e revocando qualsiasi finanziamento alle fonti fossili, pari a 10,5 miliardi».

Il governo può trovare risorse ulteriori tassando gli extra-profitti delle società energetiche, pari a 12 miliardi di euro, e revocando qualsiasi finanziamento alle fonti fossili, pari a 10,5 miliardi

«Sviluppare le rinnovabili»

Wwf, Greenpeace, Legambiente e Kyoto Club ricordano che parte dei fondi Ets sono addirittura stati destinati ai settori energivori, peraltro ampiamente esentati dalle quote del mercato dello scambio di emissioni.

Nonostante la crisi del gas sia in atto da mesi, gli ultimi passi rischiano di ritardare ulteriormente l’indispensabile decarbonizzazione, sviliscono il mercato delle rinnovabili e non puntano sul risparmio di energia, anche con misure straordinarie di coinvolgimento della popolazione, come avvenne negli anni Settanta.  Wwf, Greenpeace, Legambiente e Kyoto Club ricordano come le rinnovabili si devono sviluppare massicciamente non solo per attuare la decarbonizzazione, ma anche perché sono la soluzione migliore per contrastare il caro-bolletta, e invece sono ancora ferme al palo: i 400 MW sbloccati dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, rappresentano solo un 5% di quanto occorre annualmente per conseguire gli obiettivi di decarbonizzazione della Commissione europea per il 2030. 

Le rinnovabili si devono sviluppare massicciamente non solo per attuare la decarbonizzazione, ma anche perché sono la soluzione migliore per contrastare il caro-bolletta

Il paradosso: chi inquina è pagato

«Particolarmente grave – denunciano le quattro organizzazioni ambientaliste – è l’intervento di prelievo delle risorse Ets, perché le Direttive europee prevedono che siano destinate all’innovazione e alle politiche di decarbonizzazione. Spostare risorse dalle politiche per il clima in Italia e all’estero da questi investimenti alla riduzione delle bollette è una scelta del governo sbagliata e miope. Il sistema Ets si fonda sul principio “chi inquina paga”: oggi, invece, la metà dei proventi vanno alla fiscalità generale e il resto al ministero della Transizione ecologica e a quello dello Sviluppo economico, senza un’evidenza dell’impatto della spesa nella decarbonizzazione. Parte dei fondi sono stati destinati, addirittura, ai settori energivori, peraltro ampiamente esentati dalle quote Ets, che usufruiscono, in modo paradossale, di un sistema “chi inquina viene pagato”. I proventi delle aste Ets devono diventare uno strumento della decarbonizzazione e della giusta transizione, portando chiarezza su come siano stati spesi i fondi sino a oggi. La decarbonizzazione ha bisogno di investimenti strutturali, per cui le risorse Ets erano pensate. Chi avrà saputo tenere il timone nella giusta direzione uscirà più forte dalla crisi».

«La proposta di riaprire i giacimenti nazionali è antistorica, miope e non influirà sul prezzo delle bollette», sostiene Italia Solare. «Il gas estratto in Italia sarebbe una goccia nel mare, che automaticamente entrerebbe nel mercato e assumerebbe un valore uguale al resto del gas movimentato. I tempi necessari per riattivare i giacimenti, poi, sono molto lunghi, mentre molti GW di rinnovabili, fotovoltaico in testa, possono essere messi in campo in poche settimane o mesi».

La proposta di riaprire i giacimenti nazionali è antistorica, miope e non influirà sul prezzo delle bollette. Il gas estratto in Italia sarebbe una goccia nel mare

«Serve un piano nazionale dell’energia»

«Per risolvere il problema energetico in Italia servono interventi più strutturali. Non bastano i sostegni che tamponano solo una situazione d’emergenza. Serve un piano nazionale dell’energia». Carlo Mazzoleni, presidente della Camera di Commercio di Bergamo, indica la strada. «Il decreto Sostegni è apprezzabile, ovviamente, anche se, a mio avviso, è tardivo. L’allarme era già molto forte dallo scorso giugno», ricorda Carlo Mazzoleni. «La misura non affronta il problema energetico, un problema strutturale in Italia da anni. Manca un piano energetico nazionale, indispensabile in un Paese “trasformatore” e “importatore” di energia». A giudizio di Carlo Mazzoleni, «serve che si cominci a parlare di aumento della produzione di gas, della possibilità di stoccaggio di energia nei periodi di basso consumo in vista di possibili momenti di crisi e anche della diversificazione delle fonti di approvvigionamento che oggi, per il gas, dipendono principalmente dalla Russia. Serve lo snellimento delle procedure autorizzative per l’installazione di impianti di energia rinnovabile, altrimenti si continua a mettere una pezza a un problema gigantesco».

Crescita impressionante delle spese

Per capire quanto il problema sia gigantesco, basta analizzare la crescita impressionante delle spese delle aziende italiane per l’energia: 8 miliardi nel 2019, scesi a 5 miliardi nel 2020, l’anno del lockdown, saliti a 21 miliardi nel 2021. Per il 2022 la spesa prevista è di 37 miliardi. Se si aggiungono i problemi di carenza e aumento dei prezzi anche delle materie prime, si riesce a comprendere il grido d’allarme lanciato dagli imprenditori bergamaschi: «Se andiamo avanti di questo passo, diventa più conveniente fermare la produzione che lavorare». Quasi un paradosso visto che l’anno 2021 si è chiuso con dati molto positivi per quasi tutti i settori.

«C’è chi lavora di notte per risparmiare»

«L’energia è un problema enorme», aggiunge Aniello Aliberti, presidente della Piccola Industria di Confindustria Bergamo. «C’è qualcuno che ha già cominciato a lavorare di notte per risparmiare. Se la situazione non cambia in fretta, la paura è quella di assistere a una serie di chiusure o di trasferimenti di produzione in Paesi dove l’energia costa meno. Davvero abbiamo bisogno di un piano energetico almeno a dieci, vent’anni, altrimenti si rischia, come successo ora, che ci si ritrovi per terra a ogni scivolone».

Oltre cinquemila le aziende energivore

Il caro-energia preoccupa anche la Cisl, che teme ricadute sulla forza occupazionale, in particolare per quanto riguarda le imprese energivore. Secondo un’elaborazione condotta dalla Cisl Lombardia sulla base dei dati Istat, in Lombardia lavorano circa il 20% delle aziende ad alto consumo di energia, per un totale di 24.837 realtà e il 27% della base occupazionale, che ammonta a 463.252 addetti. Di questi sono quasi 140.000 i lavoratori maggiormente esposti agli effetti della crisi legata ai costi energetici che, in particolare, può portare a un incremento dell’utilizzo temporaneo della cassa integrazione se non, addirittura, a cessazioni dell’attività produttiva.

Nella Bergamasca sono 5.595 le imprese più colpite dai rincari in bolletta, per un totale di 76.500 addetti. In provincia risultano coinvolte 613 imprese alimentari per 5.918 addetti, 631 attività che confezionano abbigliamento con 4.411 dipendenti, 82 che producono carta e derivati, con 1.646 impiegati, 183 nel chimico con 7.847 dipendenti, 616 dedite alla produzione di articoli in gomma con una forza lavoro di 14.042 risorse, 329 imprese che lavorano minerali con 6 mila dipendenti, 103 metallurgiche per 5.605 addetti e 2.938 aziende che fabbricano prodotti in metallo per un totale di dipendenti che superano le 31 mila unità.

«Serve un piano strategico»

«Viviamo in una terra ad alto tessuto industriale», commenta Francesco Corna, segretario generale Cisl di Bergamo. «Purtroppo anche le imprese all’avanguardia rischiano di pagare a caro prezzo il costo energetico, con una perdita di competitività. Serve un piano strategico nazionale per far sì che l’approvvigionamento dell’energia abbia un costo inferiore rispetto a quello attuale. Le nostre imprese – conclude Corna – devono essere messe nelle condizioni di lottare ad armi pari con le loro concorrenti. Solo in questo modo eviteremo di perdere capacità produttiva e conseguenti posti di lavoro. Speriamo che la problematica rientri presto nella normalità, anche perché viviamo in una provincia vocata all’export».