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Il futuro? Elettrico, ma connesso e condiviso. In Italia già più auto che patenti

Articolo. L’obiettivo del Green Deal dell’Unione europea è arrivare a zero emissioni e alla neutralità climatica e, per quanto riguarda la mobilità e i trasporti, auspica una riduzione del 90% delle emissioni entro il 2050. Ci riusciremo? Che ruolo gioca la mobilità elettrica per raggiungere questo obiettivo? «Ci dobbiamo riuscire. Anzi, conviene riuscirci. Ma non avverrà nel 2050. L’Europa sta rivedendo gli obiettivi dei piani su energia e clima e probabilmente dovrà anticipare i tempi per evitare le conseguenze più negative dei cambiamenti climatici, che stiamo già subendo».

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Il futuro della mobilità urbana è il car sharing elettrico

«È probabile che sia necessario non vendere più auto a combustione a partire dal 2030, così da poter ragionevolmente e per tempo cessarne l’utilizzo attorno al 2040», sostiene Andrea Poggio, giornalista e responsabile di mobilità sostenibile e stili di vita presso la segreteria nazionale Legambiente, curatore del libro “Green Mobility. Come cambiare la città e la vita” (Edizioni Ambiente, 2018), organizzatore del primo servizio di car sharing a Milano nel 2001.

Trasporto pubblico, marcia indietro del governo

Andrea Poggio

I decreti recenti del governo italiano agevolano o no la mobilità elettrica? «I decreti che si sono succeduti post-covid, per quanto riguarda la mobilità elettrica, hanno rappresentato una marcia indietro preoccupante, soprattutto per il trasporto pubblico. Ai Comuni sono stati tolti i vantaggi per l’acquisto di bus elettrici. La partita post-covid è stata giocata soltanto a vantaggio delle vecchie fonti fossili. È evidente come, se si distribuisce un bonus auto sostanzialmente equivalente tra i modelli tradizionali diesel e benzina e quelli elettrici, si vendano più mezzi del primo tipo. La crescita del mercato elettrico è molto lenta e deve essere accelerata. La mobilità si deve cambiare a partire dalle città perché abbiamo già abbastanza auto. Oggi in Italia ne esistono più che patenti di guida. In futuro dovremo disporre solo di auto elettriche, ma in numero molto inferiore, utilizzandole meglio e di più».

Vecchie auto a combustione invendute

Quando inizieremo a veder calare il costo dell’auto elettrica sui listini? «Il prezzo delle auto è deciso da chi le produce, non dal mercato. In questo momento alle case automobilistiche conviene vendere poche elettriche e ne hanno anche prodotte poche. Perciò non se ne possono acquistare di più. Le case devono liberarsi dall’enorme quantità di auto a combustione invendute. Gli sconti sono equivalenti. L’auto elettrica, però, talvolta si deve aspettare dei mesi. Le altre sono consegnate subito e si pagano dopo». Che consiglio si può offrire a chi deve acquistare un’auto? «Ora il consiglio è quello di non comprare l’auto ma, piuttosto, di noleggiarla a breve termine, se possibile, o a lungo termine, scoprendo l’offerta più vantaggiosa. Anche l’auto a combustione diventa sempre più cara. In futuro ci saranno meno auto, ma usate di più, magari scambiandocele l’uno con l’altro. Le case e i concessionari cominciano a proporre offerte di noleggio. A Milano, forse meno a Bergamo, i giovani si sono abituati a rinunciare all’auto e anche alla patente».

Il costo per chilometro di spostamento

È più conveniente. «Non si deve parlare più di convenienza di un mezzo piuttosto che di un altro, ma di convenienza del costo a chilometro. Deve costare meno il chilometro di spostamento piuttosto che il possesso di più veicoli in un garage, dal monopattino alla station wagon per andare in vacanza. Spende molto di più chi è costretto a comprarli tutti. Il problema è avere la disponibilità del veicolo dove e quando serve. In città si spende meno per i propri spostamenti possedendo ben pochi mezzi di locomozione. Il confronto è stravinto. Questa è la nuova disuguaglianza emergente. Tanto più grande è la città, quanto più la gente si sposta liberamente. Quando si va in periferia o in campagna o addirittura in alta montagna, ci si muove sempre meno, pur avendo l’auto, perché costa».

L’auto per tutti è in condivisione

È il concetto di trasporto come servizio, che si applica, per esempio, con il car sharing. «Anche con il car sharing. Soprattutto con la mobilità intermodale: non farò più lo stesso viaggio con un solo mezzo. Ne usiamo uno solo, d’altra parte, quando andiamo in vacanza? L’aereo, la nave, la barca, l’auto, il monopattino. Perché è più comodo. Lo stesso fenomeno succede in città. Bisogna che si organizzino dei servizi adeguati nel territorio. La richiesta al governo non è il bonus per comprare un mezzo di trasporto ma, per esempio, l’Iva al 10% per la sharing mobility perché è un trasporto pubblico. Perché per un’auto, o per un monopattino, a noleggio si paga il 22% di Iva e per un taxi il 10? Qual è il lusso? Il taxi o il noleggio? L’auto per tutti esiste solo se è in condivisione, in car sharing, dove non c’è differenza di prezzo tra l’elettrica e le altre».

Buoni esempi da Milano a Parigi

Quali, in Europa e nel mondo, ma anche in Italia, gli esempi di buon auspicio? «In Italia la capitale della sharing mobility è Milano, anche perché c’è un trasporto pubblico efficiente con la metropolitana, e può avere un effetto di trascinamento per Bergamo e Brescia. In Europa ci sono sconvolgimenti in atto. L’accelerazione si vede a Parigi, Madrid, Berlino, Londra. Se guardiamo all’esempio delle città del mondo che stanno compiendo la transizione, valorizzano il mezzo pubblico e ridisegnano lo spazio pubblico. Gli incentivi diretti alla mobilità sostenibile, all’auto elettrica non bastano. Servono incentivi indiretti, riorganizzando lo spazio pubblico, se non altro riparando le buche dell’asfalto, così che diventi più opportuno muoversi in sicurezza in bicicletta, a piedi, in monopattino. A Parigi, per prendere l’ultimo esempio clamoroso, lo spazio pubblico è trasformato per renderlo fruibile non solo a chi viaggia, ma anche a chi deve andare a fare la spesa al mercato sulla pubblica via o accompagnare il figlio a scuola a piedi o in bicicletta. Parigi ha creato una spiaggia per i propri cittadini levando i boulevard lungo la Senna. La mobilità non è rallentata da quando si è tolto spazio alle auto. Si è riorganizzata in un altro modo, perché in città la velocità media in auto non è superiore ai 20-30 all’ora. Fino a due-tre chilometri di distanza deve convenire andare a piedi e in bicicletta, fino a cinque in bicicletta, così che, per esempio, si può attraversare tutta una città come Bergamo».

Lasciare l’auto alle porte della città

Magari con un servizio di bici elettriche per salire in Città Alta. «Deve convenire, come succede normalmente a Milano, lasciare l’auto alle porte della città per prendere un altro mezzo. Le abitudini cominciano già a cambiare. Chi risiede fuori dai confini di Milano chiede ai propri Comuni il mezzo pubblico e la sharing mobility, perché ha capito che sono più comodi». La mobilità elettrica non riguarda solo l’auto. Si va dal monopattino, che lei ricordava, al trasporto pesante. Quali sono i mezzi più promettenti per il futuro? «Sicuramente avremo bisogno di bus elettrici, non inquinanti e non rumorosi. Non esiste un mezzo ideale, esiste uno spostamento ideale. Dipende da quanti siamo e dove dobbiamo andare. La mobilità elettrica ha una duttilità maggiore di quella vecchia a combustione. Bergamo insegna che una bella funicolare è ancora il mezzo più comodo per salire in Città Alta. Da Bolzano e da Merano si arriva subito in montagna con la funivia. A Napoli e a Genova ci sono gli ascensori urbani, a Perugia le scale mobili con 10 milioni di passaggi all’anno, l’equivalente di un jumbo tram di una via tranviaria moderna. A Milano, come a Parigi, la metropolitana sbaraglia qualsiasi altro mezzo di trasporto. La realtà della mobilità elettrica è la duttilità delle soluzioni. Quella del futuro non è più di proprietà, ma necessariamente da condividere, come i mezzi pubblici». La mobilità elettrica si accompagna alla condivisione. «Sì, perché un’altra caratteristica dei nuovi veicoli, così come di noi stessi, è l’essere connessi al web. Basta accendere lo smartphone per scoprire che un mezzo di trasporto ci aspetta dietro l’angolo. Ce l’ha insegnato il bike sharing arrivato dalla Cina. È strano che si vendano ancora auto che non sono nemmeno connesse».

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