Cerete Basso, la cripta dei misteri
Immagini pagane e un prete ucciso

Quando Camillo Pezzoli si trovò davanti al buco scavato nel muro di pietra non credette ai suoi occhi. Provò raccapriccio, paura.Così inizia la storia della cripta di Cerete Se anche voi avete vicende misteriose del vostro paese da segnalare scrivete all’indirizzo e-mail: l[email protected]

Quando Camillo Pezzoli si trovò davanti al buco scavato nel muro di pietra non credette ai suoi occhi. Provò raccapriccio, paura. Racconta oggi, trentuno anni dopo, davanti alla chiesa parrocchiale di Cerete Basso, il sole che splende in un cielo senza nubi: «Entrai qui, nella chiesa di Cerete quel giorno di tanti anni fa insieme al parroco, don Remo Duci.

Camminando sentii che a un certo punto il pavimento della navata fletteva leggermente, come se sotto fosse vuoto. Arrivammo all’altare, scendemmo la scaletta, Don Remo mi accompagnò nello scurolo, una cripta decorata con stucchi bianchi. Vidi subito, in fondo alla scala, sulla sinistra, l’arco murato. Pensai a quella flessione del pavimento e immaginai che oltre quel muro dovesse trovarsi qualcosa. Guardai don Remo, gli dissi: mi lascia fare un buco nel muro? Don Remo mi fissò, poi osservò il muro. Disse di sì».

Camillo Pezzoli è laureato in sociologia, è sempre stato appassionato di cultura, per anni socio della Fondazione Fantoni di Rovetta. Tornò al suo paese e parlò con un suo amico muratore, Giuseppe Savoldelli, che tutti chiamano «Clarino». Clarino è il papà del famoso Paolo Savoldelli, campione di ciclismo. In questa mattina, davanti alla chiesa c’è anche lui. Come ci sono anche altri protagonisti della scoperta: don Remo, Nello Camozzi, Ilario Gabrieli, Sergio Brasi. Ci sono anche Ezio Seghezzi (assessore del comune di Cerete), il parroco attuale, don Sergio Alcaini, e il vecchio sindaco, Zaverio Oprandi.

Continua Pezzoli: «Il giorno dopo i muratori realizzarono un bel buco in quel muro di sassi, spesso mezzo metro. La luce era debole, ma vedemmo uno scheletro seduto su uno scranno, ai suoi piedi una bara polverosa con altri due scheletri. Veniva fuori un odore di muffa, forte. Il cranio era caduto e lì vicino si vedeva ancora un cappello rotondo, dalla larga tesa. Era l’antico cappello dei prelati. Ricordo che attaccati al cranio ancora si vedevano dei lunghi capelli. Uno dei cadaveri nella bara aveva ancora addosso pezzi di vestito con dei bottoncini rossi. Ma non era finita: in quella parte murata della cripta c’erano altri due scheletri mummificati. Restammo lì, senza parole. Incuriositi. E impauriti».

A chi erano appartenuti quei resti umani? Perché uno di questi stava seduto su una sedia? Pezzoli ricorda altri particolari: una scarpa con una fibbia di metallo, le calze ancora incollate alle tibie scheletriche. Racconta: «Bara e cadaveri erano appoggiati su uno strato di dieci centimetri di sabbia fine, cosiddetta sabbia del Po, certamente usata per assorbire gli umori della putrefazione». Venne avvisata la Sovrintendenza, arrivarono i carabinieri, arrivò un grande esperto in fatto di tessuti antichi. Cominciarono le ricerche, le analisi. Passarono gli anni. Nel 1989 venne alla luce sotto la sabbia un sarcofago interrato, nel sarcofago due cadaveri, uno imbalsamato. Verosimilmente erano i resti di due preti. Uno dei due conservava ancora i suoi capelli rossi.

L’altro cranio appariva sfondato. Nello Camozzi cominciò a studiare la questione, anche sulla base degli scritti di Laura Ferri, la maestra elementare che era la ricercatrice storica del paese. Lasciamo il sagrato, entriamo nella chiesa, scendiamo nello scurolo, oggi ben restaurato. Ecco gli stucchi sacri, ecco le sinopie, le tracce, di quelli pagani distrutti, ecco la cripta misteriosa con il sarcofago. I resti dei due sacerdoti riposano ancora sigillati qua dentro. Racconta Nello Camozzi: «Lentamente, siamo riusciti a ricostruire la vicenda, almeno in parte. La cripta venne fatta sistemare da don Stefano Perinei e dal nipote, don Giuseppe Vinetti nel 1618.

Le decorazioni della cripta hanno una parte religiosa tradizionale, ma i due preti fecero inserire anche personaggi della fede pagana, Giove e Marte, per esempio. Don Stefano morì e lì venne sepolto. Nel 1634 il vescovo di Bergamo, Luigi Grimani, in visita pastorale a Cerete, ordinò che le decorazioni pagane venissero eliminate. Don Giuseppe Vinetti non lo fece. La gente di Cerete non la prese bene. Di fatto, don Giuseppe venne ucciso fuori dalla chiesa con una sprangata. Il vescovo e il doge di Venezia ordinarono un’inchiesta, ma non si arrivò a nulla. Le decorazioni pagane della cripta vennero devastate. Successivamente nella cripta vennero ospitate anche le spoglie mortali di altri preti, fino all’editto napoleonico».

Ma perché le decorazioni pagane? Che cosa significavano? Nello Camozzi parla di un caso di sincretismo religioso, una scelta legata al tardo umanesimo. Camillo Pezzoli aggiunge: «Teorie che cercavano di accordare olimpo pagano e cosmologia cristiana erano diffuse. Fin da Dionigi l’Aeropagita si immaginava che Dio fosse un’immane energia posta oltre il Sole e quindi le sfere degli arcangeli, dei custodi, dei troni... Può essere che don Perinei si riferisse a teorie di questo tipo e che appartenesse a qualche gruppo o movimento più o meno segreti. Non sappiamo. Anche perché le pagine dei registri parrocchiali

di quegli anni vennero strappate...» .

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