Fontanella, il giallo del sarcofago
E i misteri dell’abbazia benedettina

di Emanuele Roncalli

La luce filtra dalle bifore e svela le pietre grigiastre del cupo pavimento, gli angoli più bui della chiesa, simboli e geometrie che sembrano fuoriuscire dalle pareti, scacchiere e fregi, volti scolpiti ai piedi delle colonne.

La luce filtra dalle bifore e svela le pietre grigiastre del cupo pavimento, gli angoli più bui della chiesa, simboli e geometrie che sembrano fuoriuscire dalle pareti, scacchiere e fregi, volti scolpiti ai piedi delle colonne, capitelli corinzi, di fogge diverse, con motivi vegetali, spirali e corni. Il cigolio della massiccia porta di legno accompagna la nostra entrata. È come aprire uno scrigno senza sapere cosa vi si troverà. Il silenzio è quasi spettrale, da thriller.

Ma questo è un luogo sacro, dove regna la quiete. Un luogo di contemplazione, pure perfetto per l’ambientazione di un giallo storico alla Umberto Eco. Siamo all’abbazia di Sant’Egidio in Fontanella (Sotto il Monte Giovanni XXIII), nota per essere stato l’ultimo eremo di Padre David Maria Turoldo.

Fra le pietre di questo tempio si celano ancora misteri e leggende, oltre a pagine medievali non proprio edificanti di alcuni monaci che si intrecciano con il vicino monastero di Pontida. È la storia a ricordarcelo. Gli annali registrano anche un omicidio (1282), quello del priore Bonifacio Torre di Pontida per mano di un monaco converso del cenobio cluniacense di Fontanella.

La nostra attenzione si sposta all’esterno dove, sul sagrato, è situato un sarcofago, un avello di pietra. È questo l’oggetto della nostra indagine. Cosa custodisce o cosa ha custodito? Perché si trova in quel luogo?

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