Il record di Pietro e Giacomina
Uno la vita dell’altro. Da 70 anni

Ma i settant’anni di matrimonio come si chiamano? Tocca chiederlo in giro o cercarlo talmente è raro - rarissimo - il lieto evento. Che poi a scoprirlo, il nome, pare tanto ovvio: sono le nozze di titanio, materiale ultra resistente per eccellenza.

E lo si chieda a Pietro Cortesi, 96 anni, e alla moglie Giacomina Belometti, 93, se davvero il loro matrimonio – giunto a settant’anni – è inossidabile: «Altroché. C’è voluta pazienza, tanta pazienza, ma siamo ancora qui, insieme». I coniugi sono pronti a farsi festeggiare: l’anniversario preciso preciso è il 29 gennaio, ma nella casa di Credaro la famiglia è già in visibilio. Anche perchè Pietro e Giacomina, nonostante le primavere sulle spalle, sono uno più lucido dell’altro. Giacomina parla? Pietro la corregge. Lui racconta? Lei precisa. Insomma, si vede che sono uno la continuazione dell’altro. O forse, per i più romantici, sono due protagonisti della stessa vita.

Vita dura, non c’è che dire: i coniugi Cortesi si conoscono nel 1946, a Viadanica, paese di lei. «Io ero una giovane contadina e ricordo che quel giorno ero nei campi, ai piedi del monte Bronzone, a raccogliere castagne. Pietro, che allora abitava a Foresto Sparso, mi si è avvicinato, stava andando a caccia: ha attaccato bottone con una scusa e da allora non mi ha più lasciata». Per Pietro Giacomina è l’incontro della vita: quando la incrocia, è tornato da poco dall’Algeria, dove è stato imprigionato dagli inglesi.

«Sono stato arruolato durante la guerra dal 1943 al 1946: da Atene e Creta gli inglesi mi hanno portato ad Algeri, e mi hanno fatto prigioniero. Ne ho viste di cotte e di crude, e ho combattuto soprattutto contro una cosa: la fame».

Da sposati (si sposano il 29 gennaio del 1949, «alle 11» precisa lui) Pietro e Giacomina si trasferiscono per qualche anno in Svizzera: Pietro, che nella vita ha sempre fatto il contadino, si mette a lavorare per un’azienda edile sfruttando qualche parola di tedesco imparata in guerra, mentre lei raccoglie ciliegie nei campi. «C’era il suo padrone che aguzzava un po’ la vista, quando lei saliva sulla scala a raccogliere le ciliegie. E così sono entrato nel primo negozio di vestiti che ho trovato, e le ho comprato un bel paio di pantaloni lunghi». Giacomina non può che alzare le spalle: «È sempre stato gelosisso».

Tornati in Italia, i coniugi si trasferiscono a Sarnico prima e a Castel Trebecco poi: lì aprono un’azienda agricola casearia e lì lavorano giorno e notte, dal 1954 fino al 2017. «Mia mamma ha munto mucche per tutti i santi giorni, domeniche incluse – racconta il figlio Eugenio –. Mio padre è stato invece il primo contadino di Credaro ad avere il trattore. Hanno passato la loro vita nei campi, più di sessant’anni fra terra e animali, ma mai una volta che li abbia visti separati». Pochi i fronzoli, in settant’anni di matrimonio vissuti così: Giacomina ha visto il mare un’unica volta, negli Anni ’80, accompagnando la nipote in vacanza mentre l’unico «lusso» che Pietro s’è concesso è stato il ciclismo: «In più di un’occasione – dice Eugenio - è andato in Svizzera, a lavorare, in bicicletta: partiva con sei o sette stecche di cioccolato nella schiena, per il viaggio. E per tutta la sua vita ha sempre indossato camicie con due taschini: in una ci metteva la radiolina, nell’altro dei cartoncini per segnare chi vinceva le corse. Si ricorda ancora oggi tutti i campioni».

Il 29 gennaio Pietro e Giacomina saranno ampiamente festeggiati, in famiglia: ci sarà il loro unico figlio Eugenio insieme alla moglie Marinella, così come i nipoti Sara e Luca. Del resto, di ferro o no, qui ci sono 70 anni di matrimonio da celebrare. E se non è una storia d’amore questa...

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