Dalla disperazione di una notte di Natale
all’associazione per il dono del midollo

«Se allevierò il dolore di una vita o guarirò una pena, non avrò vissuto invano» scrive Emily Dickinson in una delle sue poesie più belle. Ed è proprio così che Maurizio Albergoni di Albino ha scelto di vivere, dedicandosi ad aiutare gli altri, ed è così - con un’associazione di volontariato - che ha deciso di onorare la memoria della figlia Federica, morta la notte di Natale del 2009 a soli 19 anni.

C’è sempre molto di lei nei suoi gesti, nelle sue parole: «Era una ragazza solare, piena di vita – racconta –. Aveva una grande passione per la danza. Le piaceva disegnare, per questo dopo le medie avevamo assecondato il suo desiderio di frequentare il liceo artistico con l’indirizzo di grafica. Se la cavava abbastanza bene, pur senza eccellere. All’ultimo anno, però, aveva deciso di cambiare. Mia moglie Maria ed io avevamo cercato di convincerla a proseguire fino al diploma, ma non c’era stato nulla da fare».

Così Maurizio le aveva permesso di seguire le sue inclinazioni e di iscriversi a una scuola per parrucchiere: «Aveva trovato lavoro in un salone a Bergamo, le piaceva, perciò anche noi eravamo contenti». Quello era stato un periodo di grandi cambiamenti per Federica: aveva preso la patente e ottenuto la sua prima automobile. Aveva incontrato un ragazzo, Francesco, di cui si era innamorata, e seppure ancora giovanissima incominciava a pensare al futuro, a formarsi una famiglia. «A un certo punto, però, ci siamo resi conto che qualcosa non andava, perché si sentiva sempre stanca, ogni tanto diceva che le mancava il respiro. Aveva avuto qualche segnale, perciò era stata dal medico e tutto si era risolto con qualche farmaco. Le avevano comunque prescritto alcune analisi del sangue. Intanto Federica continuava a lavorare, si avvicinavano le feste e nel suo salone c’erano moltissimi clienti; andava avanti lo stesso, anche se con grandissima fatica. Tre giorni prima di Natale, però, le era venuto un forte mal di testa e ci sembrava particolarmente debole, perciò l’avevamo portata in ospedale. Il suo medico non aveva potuto riceverla subito, perché impegnato in un intervento urgente, perciò eravamo rimasti in attesa per un po’. Intanto Federica si era ripresa, il dolore le era passato e le era venuta fame, perciò avevamo deciso di riportarla a casa. Il giorno dopo avrebbe dovuto fare le analisi».

Purtroppo, invece, quella stessa notte la situazione era precipitata: «Federica ci aveva chiamato verso le due, perché aveva un fortissimo mal di testa; ci eravamo subito resi conto che era in stato confusionale e non riusciva neppure ad articolare bene le parole, perciò l’avevamo portata di corsa all’ospedale. Durante il viaggio lei con una voce flebile continuava a chiedere aiuto. È stato un momento drammatico, non lo dimenticherò mai. Avrei fatto qualsiasi cosa, purtroppo potevo solo schiacciare un po’ di più l’acceleratore mentre la portavo al pronto soccorso. Una volta là i medici avevano subito capito che la situazione era molto grave. Poco dopo mi avevano detto che Federica aveva una leucemia fulminante, e che era in corso un’emorragia cerebrale. Avevano tentato di salvarla con un intervento chirurgico, ma non c’era stato nulla da fare. Si è spenta proprio nella notte di Natale».

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