CIACCO E LA QUESTIONE MORALE
IF VI, 58 ss.
Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno
mi pesa sì, ch'a lagrimar mi 'nvita;
ma dimmi, se tu sai, a che verranno
li cittadini de la città partita;
s'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione
per che l'ha tanta discordia assalita».
Nel girone dei golosi, fiaccati da una pioggia gelata e sporca, in mezzo al fango puzzolente, straziati da Cerbero, un demone a forma di cane con tre teste e zampe unghiate, Dante incontra un suo concittadino, un tale di nome Ciacco, e con lui parla di politica. Sorprende, in effetti, che nei colloqui con i dannati Dante non si soffermi esclusivamente sul loro peccato e sulla loro colpa ma affronti anche la loro vicenda personale, il loro fallimento umano, dovuto o all'incapacità di contenersi o alla loro violenta aggressività o a deliberazioni malvagie.
Con Ciacco, Dante parla di politica ed in particolare gli chiede quale sarà l'esito delle lotte tra fazioni, se c'è qualche uomo giusto e se conosce la causa di tanta discordia e litigiosità. Le domande hanno una straordinaria attualità, sembrano in tutto le nostre domande. E le risposte? Eccole: l'esito delle lotte tra fazioni sarà il sangue ed una lunga catena di vendette; i giusti sono solo due, vale a dire pochissimi, ma non vengono ascoltati; superbia, invidia ed avarizia sono le vere cause di tanta corruzione e di tanto degrado. Ciacco, goloso e crapulone, frequentatore di banchetti e di cene organizzate nei palazzi del potere, solleva la questione morale.
Enzo Noris