Aumenta tutto, ma a L’Eco solo l’affetto per il lettore

L’editoriale. Sono due le cose che un giornalista non dovrebbe mai scrivere: quant’è bello il giornale per cui lavora e quanti soldi spende il suo editore per mandarlo in edicola ogni giorno. Il motivo è presto detto: sulla qualità del prodotto è di parte, dunque poco credibile; sullo sforzo economico, chi non lo fa tutti i giorni, soprattutto di questi tempi?

Non è dunque il caso di tediare il lettore sottolineando quanto sia importante la scelta de L’Eco di Bergamo di non ritoccare il costo dell’abbonamento, a fronte di bollette schizzate oltre le stelle per quel che riguarda l’energia e, soprattutto, per il costo della carta, un settore dove i rincari hanno toccato punte comprese tra l’80 e il 90%. Se a tutto ciò aggiungiamo che il mercato dell’editoria e della pubblicità ha accusato pesanti flessioni, è davvero facile capire quanto sia grande lo sforzo del nostro giornale nel tener fermo il prezzo dell’abbonamento anche per il 2023. Ma al lettore che da alcuni mesi sta facendo i conti con una crescita dell’inflazione a doppia cifra (pure nel settore alimentare) poco importa di tutto ciò: mal comune, dirà tra sé e sé, mezzo gaudio. E nei bailamme dei ritocchi, sarà purtroppo destinato a sfuggire il fatto che, così facendo, «L’Eco» finisce con l’aumentare «soltanto» l’affetto per i propri lettori, come efficacemente recita la campagna pubblicitaria scelta per rimarcare la nostra decisione. Ma toccare le corde del cuore non sempre funziona, in particolare se qualcun altro continua a pizzicare, come una chitarra, quelle del portafogli. Giova sottolineare che quel che proviamo verso chi ci legge ogni giorno è un affetto disinteressato, volto a restituire non soltanto quel che succede da Schilpario a Fontanella, da Cisano a Lovere, ma anche oneste, disinteressate e approfondite chiavi di lettura per capire i fenomeni che giorno dopo giorno s’intersecano tra loro e modificano la nostra terra bergamasca? Difficile da credere, soprattutto in un mondo in cui la Rete offre a tutti - molto spesso gratuitamente - una miriade di informazioni su ogni cosa, senza nemmeno bisogno di cercarle: ci rotolano addosso con così tanta velocità (e altrettanta violenza) che nemmeno ci accorgiamo da che parte vengano.

Giova far osservare, seppur timidamente, che confezionare una notizia costa, e se chi la legge non la paga, significa che quel costo lo paga qualcun altro, e che magari quel «qualcun altro» ha più di un interesse a farcela leggere gratuitamente? Può darsi sia la politica? Oppure le grandi multinazionali che muovono mercati planetari e business miliardari? Impossibile sia così, dai! Chi, oggi, non vuole contribuire alla crescita culturale dell’intero Paese rendendo fruibili a costo zero le informazioni, senza aver nulla in cambio… Può essere utile sottolineare che se il lavoro di qualcuno (anche di un giornalista) non è pagato il giusto, forse sotto sotto c’è qualcuno che ne approfitta, anche economicamente? Magari qualche «furbacchione» che lavora in grande stile, che ha interesse a dipingere un mondo scintillante, dove tutti possono permettersi di tutto, anche grazie ai prodigi caritatevoli di strozzini e usurai? Ma figuriamoci, nemmeno da pensare!

Può interessare che il giornalismo di provincia è «di razza superiore» per il semplice fatto che il lettore, se sbagli, non è disposto a perdonarti nulla e che la mattina dopo l’hai fuori dalla porta dell’ufficio pronto a protestare oppure ti trovi una garbata email nella posta elettronica dove ti si dice - testualmente - «Vi ho seguito fino ad oggi, ma errori simili non sono tollerabili, e dunque da domani non vi leggerò più»? Certo che no!

Che importanza vuoi che abbia un rapporto così stretto, così sincero, ma anche così fragile e delicato, con chi ti segue da una vita, e prima di lui lo faceva suo padre, e prima ancora suo nonno? Nessuna, che diamine! Per alcuni, forse, ma non per noi, che, al contrario, riteniamo questo rapporto stretto e sincero un valore assoluto. Soprattutto perché il filo di questo particolarissimo rapporto è intessuto con il rispetto della persona, chiunque essa sia, con il buon senso, dosando i diritti e i doveri di tutti, all’insegna di un’etica chiara e ben definita. Da sempre, da quel 1° Maggio 1880, un sabato un po’ piovoso, in cui L’Eco di Bergamo, vide la luce per la prima volta, uscito da una modesta tipografia nel borgo di Sant’Alessandro. E, infine, che importanza vuoi che abbia per il lettore il fatto di tessere quel filo senza urlare senza rincorrere stereotipi modaioli o alternativi, quando nella vita di tutti i giorni «vince» (o, meglio, sembra che vinca, è diverso) chi urla più forte? Poca, pochissima, visto che se oggi non sei un «leone da tastiera» non conti proprio nulla...

«Il giornale non lo reputiamo simile alla ramificazione dei vasi che corrono il prato e danno dell’acqua secondo che ricevono. Le notizie non si inventano, né si può essere maestri in tutto lo scibile da maneggiare ogni questione per ardua che sia e troncarla in due parole. A noi basterà esaminarle con coscienza e dirne schiettamente quello che ne pensiamo. A molti parrà che noi ci accontentiamo di troppo poco. Noi invece ci stimeremmo ben fortunati se ci venisse fatto di riuscire bene in quello che ci siamo proposti e che infine poi non è così poco come sembra. Tuttavia è anche vero che è possibile ottenere di più, ma non sta in noi. In chi dunque? Nei signori Lettori».

Questo scrivevamo quel piovoso sabato di maggio, questo è quello che vogliamo continuare a fare, oggi come allora. E oggi come allora, anzi ancora di più, abbiamo bisogno di te, caro Lettore, sperando che l’aver «giocato» col paradosso aiuti a capire tutti i nostri sforzi, tutta la nostra fatica. Infinitamente grato, dunque, se, come in tutti questi 142 anni e oltre, ci starai vicino con il tuo sostegno, anche economico. Ogni abbonamento è per noi fondamentale. Ma ogni abbonato lo è molto di più.

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