Don Spada ci lasciava diciotto anni fa, una Messa con il suo messaggio di pace

L’anniversario. Verrà celebrata giovedì 1° dicembre, alle 11, nella chiesa del Patronato San Vincenzo. In un editoriale del 1964 scriveva: «La guerra è morte, miseria, paura e orrore, è piaga».

«La guerra è morte, non vista soltanto su uno schermo nella finzione di un attore o nella abilità di un regista, è miseria, paura, orrore. È un ricordo sgradevole, è piaga che si riapre». Sono le parole che monsignor Andrea Spada affida all’editoriale «C’è ancora la Patria?», pubblicato su L’Eco il 13 aprile 1964. A leggerle risuonano potenti in tutta la loro attualità, oggi che i venti gelidi del conflitto spirano dall’Ucraina e le persecuzioni feriscono tanti popoli del mondo, che anelano alla libertà.

La Messa che giovedì ricorderà lo storico direttore del quotidiano dei bergamaschi - a 18 anni dalla sua scomparsa, se ne andava il 1° dicembre 2004 - sarà anche l’occasione per riprendere il filo di questa riflessione sul senso della pace e della memoria, in un tempo in cui «la regola sembra essere il pensare solo a sé, il seminare nella dimenticanza». La Messa verrà celebrata alle 11 nella chiesa del Patronato San Vincenzo. Un luogo non «casuale»: qui don Andrea, appena ordinato sacerdote, venne inviato come vicedirettore (dal 1931 al 1938) a operare vicinissimo a don Bepo Vavassori che lo volle poi, insieme al vescovo di allora Adriano Bernareggi, alla guida del nostro giornale (vi approda nel 1938 e ne terrà il timone per 51 anni). Il prete scalvino fu lui stesso testimone dei crimini di guerra - cappellano militare sulle navi ospedale durante il Secondo conflitto mondiale -, per questo a tanti anni di distanza, nell’aprile 1964, una mostra della Marina in Cittadella diventa lo spunto, nell’editoriale prima citato, per toccare temi che attraversano ancora le cronache. È un anno di sommovimenti politici e sociali epocali, tra l’allontanamento di Krusciov dal Partito comunista dell’Unione sovietica e la guerra in Vietnam degli Stati Uniti, ma monsignor Spada parte, come nel suo stile, da un evento vicino e all’apparenza non sensazionale per contrastare «quello scetticismo che oggi fa tanta moda, che forse sarebbe meglio non parlar mai più di armi e di missili». Lui invece ne parla della guerra, con tutti i risvolti che porta con sé.

Il Mare, «la lunga soglia di casa» come la chiama, oggi solcato da migranti disperati. La Patria, non vuota parola retorica ma ideale che unisce: «Bisognerebbe che ricominciassimo a parlarne con uno stile diverso, se vogliamo che i giovani tornino a capirla, con meno fanfare e voli di parole». La memoria e l’esempio di chi resta, di chi ha sacrificato la propria vita per la libertà e il bene comune: «Il nostro tempo sta commettendo l’enorme ingiustizia di dimenticare chi è morto per gli altri, per una Patria che aveva chiamato. I caduti e i superstiti sono gli unici ad aver diritto di essere creduti quando ci esortano alla pace e a tutti quei valori che allontanano dalla vita lo spettro di nuove guerre». Un alpino che si commuove con il vecchio cappello in testa, i fanti che si ritrovano sotto una bandiera, i marinai con un nodo in gola davanti alle loro navi sono quindi il simbolo di una fraternità e di un’amicizia «salda tutta la vita perché nata nell’ora del dolore e della paura». Con una certezza. «Chi ha fatto veramente la guerra non ha più certamente la minima voglia di rifarla; chi è entrato una volta in quell’inferno ne conserva il terrore e l’incubo per tutta la vita».

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