Andreas Deja: «L’animazione oggi? Un mondo che cerca di ritrovare se stesso»

L’INTERVISTA. Parla Andreas Deja, animatore della Disney negli anni ’80 e ’90, lavorò al «Re Leone». Sabato 11 maggio l’incontro al Bergamo Animation Days.

Una seconda giornata carica di appuntamenti, quella che aspetta sabato 11 maggio gli appassionati d’animazione accorsi al BAD, il Bergamo Animation Days. Sedici incontri, tra conferenze, proiezioni e workshop dedicati alle professioni del mondo dell’animazione, in aule dell’Università di Bergamo e auditorium. Evento focale della giornata sarà «Il Re Leone, 30 anni di storia dell’animazione», una masterclass nell’aula magna in Sant’Agostino alle 17.45 con Andreas Deja (animò il personaggio di Scar) che ripercorrerà la propria carriera nella Disney anni ‘80 e ‘90. Alle 16 l’animatore parteciperà invece a una tavola rotonda con Bruno Bozzetto e Sandro Cleuzo. Domenica 12 maggio alle 15 proiezione gratuita del «Re Leone» all’auditorium di piazza della Libertà. Proprio con Deja abbiamo discusso di temi relativi al mondo dell’animazione.

Come è nata la partecipazione a BAD?

«Ne ho sentito parlare tramite amici comuni che avevo con Pietro (Pinetti, direttore artistico del festival, ndr). Si è cominciato a discuterne e ad un certo punto è arrivato l’invito ufficiale. Mai rifiutare un viaggio in Italia».

«Il Re Leone? Un successo avrebbe aperto le porte per altri progetti, ma un fallimento avrebbe potuto significare che forse non avremmo più potuto lavorare»

Ricorre il 30 o de «il Re Leone». Qual è oggi il peso di questo film nel mondo dell’animazione professionale?

«La longevità di questo film è sorprendente. Quando l’abbiamo realizzato eravamo ansiosi riguardo al suo destino finanziario. Un successo avrebbe aperto le porte per altri progetti, ma un fallimento avrebbe potuto significare che forse non avremmo più potuto lavorare. Fortunatamente è stato un grande successo in tutto il mondo, e continua ad essere una parte importante dell’infanzia delle nuove generazioni. È diventato un fenomeno culturale ed è lusinghiero sapere che la gente parli ancora del mio lavoro e di quello dei miei colleghi. È diventato un fenomeno senza tempo al pari di “Biancaneve” o “Pinocchio”, lavori di Walt Disney e dei suoi animatori con cui non avremmo mai sperato di confrontarci perché non ci ritenevamo all’altezza. Ai tempi ci bastava che fosse stato un successo ma, a quanto pare, continua a vivere».

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Che differenze ci sono a livello realizzativo tra l’animazione degli anni ’90 e quella moderna?

«La principale differenza è quella portata dalla rivoluzione digitale partita con “Toy Story” della Pixar. Ad oggi la CGI è la tecnica che va per la maggiore, almeno a Hollywood, ma non è l’unica, perché in Europa si trova parecchia animazione a due dimensioni, soprattutto in Francia e in Irlanda, e non c’è motivo per cui Hollywood non possa svegliarsi e dire: “Aspettate un attimo, abbiamo perso qualcosa. Forse possiamo fare entrambe le cose”. Io lo spero e continuo ad animare in 2D».

«Sono rimasto molto colpito dai film animati di “Spider Man”, perché catturano perfettamente l’essenza del fumetto, mantenendo intatta la sua estetica»

Come vede il panorama attuale dell’animazione?

«Penso che il mondo dell’animazione come lo conosciamo oggi stia cercando di ritrovare se stesso. Quando la Pixar ha creato “Toy Story” era per certi aspetti impressionante, ha rappresentato un’impresa notevole. Tuttavia, all’epoca mi chiesi se bastasse ambientare le storie in una cameretta realistica o se ci fosse spazio per qualcosa di più interpretativo, come un mondo sconosciuto. Sono rimasto molto colpito dai film animati di “Spider Man”, perché catturano perfettamente l’essenza del fumetto, mantenendo intatta la sua estetica. È una svolta rispetto al realismo a cui siamo abituati e penso che anche i ragazzi che oggi studiano animazione lo stiano vedendo. Ora si tratta di trovare un nuovo mondo, un nuovo design per l’animazione in computer grafica, perché l’aspetto realistico che è stato stabilito è diventato noioso. Sarebbe quindi emozionante vedere dove ci si potrebbe spingere con le tecniche disponibili».

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La sua opera più recente è il cortometraggio «Mushka», un racconto struggente che fa dello stile tradizionale e del disegno elementi di unicità. Come è nato?

«Quando Hollywood, compresa la Disney, è passata al digitale, ho detto: “Ok, va bene, ma io non cambierò, sono testardo”. Avevo ancora molto da offrire e da esplorare. Non avevo ancora finito, e quindi volevo continuare. Mi sono ritrovato da solo dopo tre decenni incredibili alla Disney, Così mi sono reso conto di aver bisogno di un progetto che non fosse il solito piccolo film o qualche spot pubblicitario. Con l’aiuto di amici ho cominciato a farmi delle domande: Cosa ti piace disegnare di più? Mi piace disegnare gli animali allo zoo quindi deve essere un animale, un animale selvatico. Che ne dice di un altro grande felino? Una tigre? Se mettessi nella storia anche una bambina? In questo modo ho costruito l’idea di base del film, ma era solo un’idea. Ho chiesto a persone che lavoravano nel mondo della narrazione, e quello che pensavo sarebbe stato un film di 10 minuti si è trasformato in un film di mezz’ora. Ognuno aveva la propria vita e i propri progetti, quindi c’è voluto un po’ di tempo per realizzarlo, ma ce l’abbiamo fatta».

Un consiglio ai giovani che vogliono iniziare un percorso professionale nel mondo dell’animazione?

«Fare animazione è molto più facile ed economico rispetto a quando si doveva usare la pellicola, la 35 millimetri o la 60 millimetri, che era molto costosa. Quindi non resta che la vostra creatività, la vostra narrazione e la vostra passione. Se avete un’idea, non abbiate paura di realizzarla. Naturalmente, non deve essere per forza di mezz’ora. Fate solo un filmato di due o tre minuti e mostrate cosa sapete fare. Se avete bisogno di aiuto, trovate qualche persona che sia interessata al vostro film e che possa aiutarvi a realizzarlo,e mettetevi all’opera. Non c’è motivo per non farlo».

E lo sorprese non sono finite: su L’Eco di Bergamo di sabato 11 maggio trovate un disegno che Andreas Deja ha dedicato al nostro giornale.

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