Esorcismo riuscito

Nel 1974 il premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale venne assegnato a William Peter Blatty per il film «L’esorcista», uscito nelle sale l’anno prima con la regia di William Friedkin.

Nella pellicola si racconta di come una bambina di 12 anni venga posseduta da un demonio della mitologia babilonese. A cercare di salvarla intervengono due sacerdoti uno dei quali, per scacciare l’entità maligna, è costretto a sacrificare la propria vita. «L’esorcista», ancora oggi, è difficile da guardare: regia e sceneggiatura non risparmiano colpi bassi. Sullo schermo si vede una bambina urlare oscenità, vomitare poltiglia verde e mettersi a parlare di colpo in francese, sicuro segno di possessione infernale. In tutta la sua spietata efficacia, il film è certamente di cattivo gusto.

Nel 2016, il premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale è andato a «La grande scommessa» (The Big Short), un film di Adam McKay che racconta, attraverso tre diversi gruppi di interpreti, le premesse della grande crisi finanziaria incominciata nel 2008. La pellicola si distingue per l’assoluta e ostinata latitanza di diavoli babilonesi: in essa si parla invece di «credit default swap», di «mutui subprime» e di «hedge fund». Trattasi di opera di gusto impeccabile, civilmente utile, altamente educativa e, con ogni probabilità, giornalisticamente inappuntabile.

Parrebbe un gran passo avanti, rispetto alla poltiglia disgustosa espettorata della protagonista de «L’esorcista»: per me è soltanto un segno dei tempi, e non necessariamente positivo. Mi sembra ormai chiaro che il cinema ha perduto tutta, ma proprio tutta, la sua carica volgare e trasgressiva: possiamo gioire per la sconfitta del cattivo gusto ma dobbiamo ammettere che, oggi, il pozzo delle idee al quale attingiamo è corretto e pulitino al punto da risultare prevedibile. L’esorcismo, insomma, è alla fine riuscito e i film, oggi, non fanno più paura a nessuno. Non resta che felicitarci e assegnare prontamente anche l’Oscar alla noia.

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