Il peggior amico

La rivalità è una cosa che si pratica tanto ma di cui si parla poco. In mancanza di meglio, la viviamo di seconda mano, ovvero per delega: uno si schiera con il Milan, l’altro con l’Inter; uno vota Quel Partito, l’altro vota Quell’Altro. A volte però la rivalità la viviamo per davvero: sul lavoro, per esempio, quando gareggiamo con il collega per una promozione e, di conseguenza, per l’attenzione del capoufficio.

Più comune ancora la rivalità per amore che ci oppone a un altro noi stesso il cui desiderio per una persona, la stessa che piace a noi, ci pare volgare e intollerabile, prepotente e losco, opportunista e fragile, mentre il nostro, specularmente identico, è ovviamente nobilissimo e indistruttibile.

A questo proposito, il concetto di specularità va sottolineato. All’esame approfondito, la rivalità appare infatti come una forma di amicizia allo specchio. Uno studio condotto dall’Università della Virginia arriva a suggerire la reciproca necessità dei rivali. La loro contesa forma, episodio dopo episodio, rivincita dopo sconfitta e viceversa, una sorta di narrativa che lega indissolubilmente i rivali e rende l’uno parte integrante della vita dell’altro. Non c’è Real senza Barcellona né Crasso senza Pompeo. Ognuno esiste, si giustifica, proietta un’immagine e lascia un ricordo che non è mai individuale ma, in qualche modo, risulta riflesso nella natura, altrettanto ambivalente, dell’altro.

Questo per dire che la rivalità è un legame strettissimo di simbiosi, anche se non necessariamente funzionale. Lo studio citato poc’anzi prova anche che, animati, addirittura sovraccaricati dalla tensione, le scelte compiute, per così dire, in stato di rivalità, sono spesso imprecise per non dire del tutto errate. Povertà di giudizio, visione distorta e ristretta, panico e fretta: tutti prodotti della rivalità che val la pena considerare quando si la scorge negli altri e soprattutto in noi stessi. Per fortuna ci resta pur sempre la soddisfazione di aver trovato il nostro peggior amico.

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