Il 1989, un anno fatale
«tra euforia e illusione»

di Franco Cattaneo

Vent’anni fa, il 9 novembre 1989, cadeva il Muro di Berlino. L’89, anno fatale e indimenticabile, il migliore della storia d’Europa come lo ha definito l’illustre sorico inglese Timothy Garton Ash. Finiva così, in un clima di euforia collettiva, la guerra fredda che per oltre 40 anni aveva costruito l’ordine geopolitico del pianeta.

di Franco Cattaneo

Vent’anni fa, il 9 novembre 1989, cadeva il Muro di Berlino. L’89, anno fatale e indimenticabile, il migliore della storia d’Europa come lo ha definito l’illustre sorico inglese Timothy Garton Ash. Finiva così, in un clima di euforia collettiva, la guerra fredda che per oltre 40 anni aveva costruito l’ordine geopolitico del pianeta. Di lì a poco il terremoto si sarebbe esteso ai paesi europei satelliti dell’Urss, la Germania sarebbe stata riunificata e il comunismo sovietico avrebbe concluso la propria parabola nella bancarotta. Con quelle picconate al Muro «l’Occidente rapito», secondo la celebre definizione dello scrittore ceko Milan Kundera, veniva restituito ai legittimi proprietari. Bisognerà aspettare fino al 2004 per salutare il ritorno a casa dell’Est nell’Europa comunitaria, ma l’incipit di questa storia era stato scritto nell’autunno di vent’anni fa.

Una pacifica rivoluzione di popolo che veniva da lontano: dalle riforme di Gorbaciov, al potere a Mosca dal 1985, dall’avventura umana e politica di Solidarnosc in Polonia, alla strategia del confronto di Reagan e al ruolo di Giovanni Paolo II in difesa della dignità della persona umana. Un crollo, quello del Muro, che era nelle corde di pochi e nello scetticismo di molti europei: l’ostilità della signora Thatcher, l’iniziale diffidenza del presidente francese Mitterrand che poi cambierà di segno quando otterrà da Kohl, il cancelliere della riunificazione, l’abbandono del marco per l’euro. Il nuovo ordine planetario seguito al collasso del comunismo ha tuttavia generato una grande illusione, quello che il mondo sarebbe stato più semplice e più facile da comprendere.

La storia, contrariamente alla prospettiva americana, non era finita ma aveva subito un’accelerazione imprevedibile: l’idea che il sistema liberale avesse trionfato e che non ci fossero più avversari e che ci sarebbe stata una semplificazione del sistema globale sarà ben presto smentita. Prima il tragico riassetto dell’ex impero sovietico, con il mattatoio balcanico e il conflitto in Cecenia, poi l’11 settembre 2001 con l’attacco del terrorismo islamico alle Torri Gemelle. Le repliche della storia si sono rivelate terribilmente imprevedibili. Mentre l’Europa s’è allargata ad Est scontando comunque un deficit in tema d’integrazione politica e subendo un crescente malessere delle opinioni pubbliche, l’affermarsi della globalizzazione ha rivelato il proprio lato oscuro e ha presentato il conto. La crisi economica più grave dal ’29 ha fatto il resto.

Il mondo, in questi due decenni, è cambiato troppo in fretta per poter essere capito in modo rassicurante: la storia, più volte, è scappata di mano. L’America ha perso il ruolo centrale di prima e unica potenza al mondo. Adesso ci sono Cina e India e altre importanti realtà emergenti. La recessione e la questione sociale di questi mesi ci hanno restituito brutalmente il senso di un processo storico che continua ad essere un grande cantiere aperto. Fra tragedie e speranze.

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