Rifiuti ferrosi, la Finanza scopre
frode da 185 milioni: 7 indagati

La Guardia di finanza di Bergamo ha scoperto una frode fiscale da oltre 185 milioni di euro connessa ad un traffico illecito di rifiuti sotto forma di rottami ferrosi. In tutto sono sette le persone indagate e sono stati disposti sequestri preventivi finalizzati alla confisca per oltre 8 milioni di euro

I finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Bergamo hanno scoperto una maxi frode fiscale nel settore dei rifiuti sotto forma di rottami ferrosi. Sono sette le persone indagate in un'inchiesta che ha visto impegnati in diverse province 80 uomini delle fiamme gialle. La banda aveva base nella provincia di Bergamo e operava in varie parti del territorio nazionale.

L’operazione è stata svolta in diverse province lombarde e in altre regioni (Lazio, Calabria, Puglia, Campania, Friuli Venezia Giulia e Toscana), in collaborazione con i reparti del Corpo competenti. L’attività di servizio ha permesso di sottrarre alla disponibilità degli indagati una struttura commerciale, situata a Cisano Bergamasco e utilizzata per la compravendita di rottami ferrosi, partecipazioni in società nazionali e di diritto lussemburghese, disponibilità finanziarie anche tramite mandato fiduciario, conti correnti, immobili (fabbricati e terreni) ed automobili per un valore complessivo di oltre otto milioni di euro.

L’indagine, che è durata circa un anno e mezzo e che è stata coordinata dalla locale Procura della Repubblica di Bergamo, ha permesso di interrompere l’operato di un sodalizio criminale, attivo nel territorio bergamasco nel settore del commercio dei rottami ferrosi, reo di aver commesso un’ingente frode fiscale connessa ad un traffico illecito di rifiuti. Ciò è stato realizzato mediante l’interposizione di società “filtro” appositamente create (e poi trasferite in altra regione ed avviate alla liquidazione) per gestire un’enorme quantità di rifiuti di origine ignota e di qualità chimico-fisiche rimaste sconosciute nonché per mantenere immacolate e preservare da controlli di polizia ambientale altre società sempre riconducibili agli indagati, alle quali poter rivendere poi i rifiuti cartolarmente ripuliti.

Il particolare modus operandi utilizzato, svelato anche dall’analisi e dallo sviluppo della cospicua documentazione extracontabile agli atti del procedimento penale, è consistito: nella fittizia trasformazione di rottami di ignota e dubbia provenienza (a tutti gli effetti classificabile come rifiuto) in materia prima secondaria in assenza di autorizzazione e delle strutture e mezzi aziendali atti alla trasformazione del materiale stesso, acquistato e commercializzato dalle società filtro e poi destinato alle acciaierie, in spregio della specifica normativa ambientale vigente (che prevede l’utilizzo dei formulari rifiuti);

nel sistematico inserimento in contabilità degli ingenti costi derivanti dai reati ambientali constatati, quantificati in circa 186 milioni di euro, conseguendo in tal modo pressoché costanti perdite di esercizio; nel reiterato e costante ricorso, per l’acquisto dei rottami-rifiuti, al denaro contante attraverso consistenti prelievi presso sportelli bancari; nell’accensione di poste passive inesistenti ovvero nell’utilizzo di fittizi pagamenti a mezzo di denaro contante, espedienti finalizzati a celare vere e proprie distrazioni di fondi societari, quantificati in circa 7 milioni di euro, canalizzati principalmente verso la Repubblica di San Marino ed utilizzando anche nominativi di fantasia.

Le indagini svolte hanno quindi permesso di denunciare alla Procura della Repubblica di Bergamo 7 persone, contestando alle stesse i reati di associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale e al traffico illecito di rifiuti, nonché l’occultamento di scritture contabili obbligatorie. Sono stati segnalati “costi da reato”, come tali indeducibili dal reddito d’impresa, per l’importo complessivo di oltre 185 milioni di euro, con attuale quantificazione di Ires evasa per circa 61 milioni di euro per le annualità dal 2004 al 2008.

L’attività operativa è stata svolta in base alla normativa vigente, che ha annoverato i reati tributari tra quelli che consentono il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, ossia rivolto a colpire il prezzo o profitto del reato attraverso l’individuazione di beni (intesi nella loro accezione più ampia) con valore analogo che risultino nella disponibilità degli indagati.

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