Bergamo per turisti?
Rimandata in inglese

«Do you speak English»? «So and so», «così così». O meglio: «Issé issé», per dirla alla bergamasca. Qualcuno sì (soprattutto gli addetti ai lavori), molti altri (comprese alcune importanti strutture di accoglienza turistico culturale) no. In città la situazione è questa. Una specie di guado linguistico che non è più quello del «noio volevon savoir l'indiriss» di Totò, Peppino e la malafemmina, ma che in certi casi ci assomiglia molto.

Può bastare in una città che nutre qualche giustificata velleità turistica e dove ogni anno il locale aeroporto accoglie ormai milioni di viaggiatori? Lo abbiamo testato sul campo grazie all'aiuto di John Carret - inglese vero (di Southampton), turista finto - provando, trolley alla mano, a calarci nei panni di due viaggiatori stranieri che sbarcano a Bergamo e decidono di fermarsi un paio di giorni in città. Altro giro, altra corsa, insomma.

Perché dopo il test (abbastanza deludente) sulla visita a Bergamo in giornata affrontato la scorsa settimana, anche quello esteso all'intero weekend qualche brutta sorpresa la regala. Partiamo dall'inizio, come si diceva una volta. E cioè dall'aeroporto. L'inglese? Qui tutto ok e ci mancherebbe altro: very good al banco informazioni e very good pure allo Iat dove, oltre alla lingua, sanno anche dare un'assistenza degna di questo nome: in quattro e quattr'otto ti trovano un albergo (4 stelle a 80 euro), ti danno qualche buon consiglio sugli eventi di giornata (Bergamo film meeting) e una bella mazzetta di brochure e cartine.

Semmai i problemi sono altri. Perché se noi in Città Alta abbiamo deciso di andarci deliberatamente, quanti arrivano allo scalo e sono diretti a Milano, dei monumenti e delle bellezze che stregarono anche Stendhal non si rendono nemmeno conto. L'impressione, una volta superate le porte scorrevoli, è quella di essere già arrivati in piazza Duomo: tutto parla del capoluogo meneghino e soprattutto di come arrivarci in tutta fretta. «Special price: 1 ticket 8,90 euro, 3 tickets 17,80 euro» recita uno dei tanti cartelli che ti portano dritto dritto sui torpedoni diretti a Milano.

Ma una bella gigantografia col profilo di Città Alta, quello che poi i turisti vedranno anche dal vivo uscendo dall'aeroporto, non potrebbe contribuire a bilanciare un po' questo squilibrio e soprattutto a invogliare i tanti viaggiatori a fare una capatina anche sul colle? Dicono i bene informati che qualcosa di simile arriverà presto, con l'apertura della nuova ala dello scalo orobico. Nel frattempo, però, ciccia.

La promozione di Bergamo in aeroporto sembra essere demandata quasi totalmente all'ufficio Iat di Turismo Bergamo, per la verità un pelo defilato rispetto al flusso degli arrivi, e a un sistema di informazioni e prenotazione telefonica («free information & hotel reservation») che definire scarso è un eufemismo: un touchscreen con una specie di grosso centralino telefonico dove alle voci eventi, shopping e luoghi turistici non appare nulla, mentre tra gli alberghi, su 27 segnalazioni una sola si riferisce a Città Alta. E per di più un b&b a cinque stelle: quasi una contraddizione in termini se si considera il target dei passeggeri sfornati a getto continuo dalle compagnie low cost.

Sul campo le cose vanno decisamente meglio e, giunti nel centro storico, l'alloggio si trova senza troppi affanni e a prezzi accessibili, l'aperitivo all'ombra del Campanone non è una salassata (3 euro e 50 una birra seduti), la pizza (16 euro con bevanda e caffè) è buona e il menu è tradotto anche in francese e tedesco. Certo non tutti sono madrelingua, ma l'inglese lo masticano anche nei bed and breakfast e negli alberghi a due o tre stelle, dove - e per i bergamaschi non è così scontato - ti regalano pure un sorriso e qualche informazione «a gratis».

Sapevate, per esempio, che in città bassa esistono tre internet café e che Atb offre un biglietto turistico della durata di tre giorni al prezzo di cinque euro? Noi no. E questo rinfranca un po' dalle «sberle linguistiche» che ci siamo già presi. Prima da un taxista che il massimo dell'inglese lo raggiunge con un «twenty two euro» per indicare il prezzo della corsa tra l'aeroporto e Città Alta e poi liquida le altre domande con un «no problema»; quindi da un paio di autisti Atb che di fronte all'idioma straniero strabuzzano gli occhi e, infine, da un vigile (questa volta in piazzale Marconi) che quasi non alza nemmeno la testa dal libretto delle contravvenzioni per dire che lui no l'inglese proprio non lo parla. Ergo, circolare.

Ancora meno rassicurante sul piano turistico è scoprire che tre dei principali musei cittadini (archeologico, scienze naturali e storico) «no speak english sorry» per delle semplici informazioni telefoniche, figuriamoci per eventuali visite guidate in lingue diverse dall'italiano da organizzare seduta stante. E Donizetti? Lui di turisti dall'estero ne potrebbe attirare davvero tanti, ma anche questo sabato, dopo la brutta sorpresa della scorsa settimana, la porta della casa natale del compositore in borgo Canale è ancora sbarrata. E, purtroppo, per questo non c'è bisogno di alcuna traduzione.
 Emanuele Falchetti

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