Morì dopo una notte in cimitero
Aperta un'inchiesta. Si poteva salvare?

A marzo aveva trascorso una notte all'addiaccio nel cimitero di Bergamo, sorpreso dalla chiusura dei cancelli. Dopo 37 giorni Cesare Almagioni, 95 anni, è morto. Si poteva evitare il decesso? A questa domanda sta tentando di rispondere la Procura di Bergamo.

Non gli aveva concesso scampo, quella notte di marzo passata all'addiaccio, ferito e privo di sensi all'interno del cimitero. Cesare Almagioni, 95 anni, era morto 37 giorni più tardi per un'embolia polmonare su cui, per l'accusa, potrebbe aver influito l'ipotermia. «Quando è arrivato al pronto soccorso mio padre aveva una temperatura corporea di 31°», spiega il figlio Maurizio.

Poteva essere salvato, se i soccorsi fossero stati più tempestivi? Se a chi chiedeva di poterlo cercare di sera fra tombe e loculi, fosse stato permesso di farlo subito e non grazie a una tardiva e frettolosa ispezione casualmente (e gentilmente) concessa da una pattuglia di guardie giurate? Ma poi, a chi toccava autorizzare la riapertura del camposanto, visto che un protocollo per queste procedure d'emergenza non è mai esistito? Sono le domande attorno a cui ruota l'inchiesta aperta dal pm Giancarlo Mancusi che ipotizza l'omicidio colposo, per ora a carico di ignoti.

L'anziano, vedovo e – nonostante l'età – autosufficiente e in salute («Lo scorso inverno nemmeno un raffreddore», sottolinea il figlio), l'11 marzo esce dal suo appartamento di piazza Sant'Anna intorno alle 16,30. Vive solo, non lascia detto dove è diretto. È la donna di servizio, giunta alle 18 per cucinargli la cena, a dare l'allarme. Si cerca in ospedali, in bar e negozi della zona, in chiesa. Niente. Alla fine si fa largo l'ipotesi che possa essere rimasto intrappolato all'interno del cimitero. I familiari, tra i quali un componente della Protezione civile (che nel frattempo ha chiamato colleghi a rinforzo), alle 21 confluiscono in viale Pirovano. Vorrebbero entrare per dare un'occhiata, chiamano la polizia locale e spiegano. La richiesta viene trasferita all'ufficiale di turno. «Ha risposto che per aprire il cimitero a quell'ora ci voleva la certezza che fosse lì dentro – ricostruisce Maurizio Almagioni –. Noi eravamo sicuri al 70, non al 100%». È il tenore della richiesta che, secondo il pm Mancusi, è importante, ed è un vero peccato che la chiamata non fosse registrata. Perché bisogna capire se i volontari quella sera si dissero certi che Almagioni fosse nel camposanto o se si limitarono a ipotizzarlo blandamente. La tesi difensiva è che senza una denuncia di scomparsa (a quell'ora non ancora presentata) era difficile prendere decisioni ufficiali. Ed è anche vero che il vigile non aveva un protocollo da seguire per emergenze di questo tipo, per il semplice motivo che a Palafrizzoni non ce n'è mai stata traccia.

«Ci si affida al buon senso – spiega l'assessore ai Servizi cimiteriali Marcello Moro, che sull'episodio ha aperto un'indagine interna –, ed evidentemente l'ufficiale, in buona fede, non ritenne sufficienti gli elementi per riaprire il cimitero. Suppongo anche sapesse che c'è un custode reperibile, e pagato per questo, che sarebbe potuto intervenire accendendo le luci e azionando l'altoparlante». I soccorritori al cimitero riescono comunque a entrare: alle 22,30 e grazie al casuale arrivo di una pattuglia di guardie giurate, impegnata nel giro d'ispezione contro i furti. I vigilantes s'inteneriscono e dicono di seguirli. All'interno però possono compiere solo un percorso prestabilito e i fari delle auto, le urla dei parenti e dei volontari, non riescono a intercettare l'anziano. Che probabilmente, dopo aver trovato il cancello chiuso, s'è avventurato in cerca di altre uscite, cadendo nel buio, ferendosi e perdendo i sensi. Perché il dramma è che all'uscita non c'è neppure un pulsante di emergenza. Cesare Almagioni viene ritrovato la mattina successiva, nei pressi della chiesa di Ognissanti dove è riuscito a trascinarsi: è una maschera di sangue, col naso rotto, in stato confusionale e in ipotermia. Morirà il 17 aprile, senza aver mai lasciato l'ospedale. «Siamo sicuri che senza quella notte all'addiaccio, sarebbe ancora vivo», riflette amaro il figlio. L'inchiesta non potrà restituirglielo. Ma stabilire eventuali responsabilità, sì. E soprattutto impedire che certe cose, scandalose per superficialità e disorganizzazione, si ripetano.

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