La neonata rimasta invalida:
a giudizio medico e ostetrica

La bimba era nata invalida al 95% lo scorso 30 gennaio 2010 agli Ospedali Riuniti. La vicenda è finita in tribunale e ora il magistrato titolare dell'inchiesta, Giancarlo Mancusi, ha chiesto la citazione diretta a giudizio per il medico e l'ostetrica.

È nata invalida al 95% lo scorso 30 gennaio 2010 agli Ospedali Riuniti: S. Z. è cieca, incapace di deglutire il cibo e con un gravissimo ritardo psicomotorio. La sua vita è stata segnata inesorabilmente da un'ipossia, il mancato afflusso di ossigeno al cervello, dovuto all'improvvisa rottura dell'utero della madre nel corso del parto.

La vicenda è finita in tribunale e ora il magistrato titolare dell'inchiesta, Giancarlo Mancusi, ha chiesto la citazione diretta a giudizio per il medico, una donna di 51 anni, e l'ostetrica di 38 che fecero partorire Albana Zekaj, 39 anni, albanese che vive a Dalmine.

Lesioni colpose gravissime - L'accusa è di lesioni colpose gravissime nei confronti della bimba e lesioni colpose per la mamma, che a causa delle lacerazioni all'utero non può più avere figli. Secondo una perizia collegiale disposta dal pm, di cui ha fatto parte anche un esperto di ginecologia, l'invalidità della piccola sarebbe dovuta al taglio cesareo eseguito troppo tardi, considerando anche il fatto che la piccola era sovrappeso. Non ci sarebbero stati errori, invece, da parte del consultorio di Dalmine che seguì la mamma durante la gravidanza. Il padre denunciò anche una lite in sala travaglio, su cui le versioni sono discordanti.

La lite in sala travaglio - Secondo Saimir Zekaj, 39 anni, operaio alla Rea di Dalmine, ci fu un'accesa discussione tra due dottoresse sulla necessità o meno di eseguire il cesareo. Lite conclusa con il medico favorevole al cesareo che sarebbe uscito sbattendo la porta e dicendo alla collega di arrangiarsi. Nel novembre del 2010 una commissione mista composta da Regione Lombardia, Ospedali Riuniti e Asl di Bergamo accertò che quella sera non ci fu alcuna lite, ma che il cesareo venne eseguito successivamente per «il tardivo consenso dei genitori».

Circostanza sempre negata dal papà di Samanta, che anzi nella denuncia presentata in Procura scrisse di altri errori commessi prima del parto, come il fatto che la moglie restò due giorni in ospedale in preda a forti dolori senza che nessuno si occupasse di lei. Il medico e l'ostetrica, sentiti dal pm, hanno negato la lite parlando di un semplice confronto, uno scambio di opinioni. I Riuniti avevano smentito con un comunicato stampa sia il litigio sia la scarsa assistenza: «Tutti i referti testimoniano la continua vigilanza e la pronta decisione dei medici ad intervenire con il cesareo quando questo si è reso necessario. L'intervento non è stato eseguito immediatamente per il tardivo consenso dei genitori. Attendiamo che la magistratura proceda celermente a fare chiarezza».

Le indagini della magistratura - Il sostituto procuratore, dopo l'acquisizione delle cartelle cliniche di madre e figlia, in questi mesi ha sentito come persone informate sui fatti primari, medici e operatori per ricostruire con precisione l'accaduto. La famiglia, difesa dall'avvocato Roberto Trussardi, ha depositato anche una memoria in Procura e ha avviato una causa civile per ottenere un risarcimento dagli Ospedali Riuniti. La perizia collegiale ha permesso di chiudere le indagini, con la citazione diretta a giudizio del medico e dell'ostetrica che fecero nascere la piccola S. La citazione diretta, senza cioè la fase dell'udienza preliminare, è prevista quando il pm ritiene di avere raccolto prove sufficienti e quando i reati contestati sono puniti con un massimo di quattro anni di reclusione o con la multa. La data dell'udienza sarà stabilita successivamente dal presidente del Tribunale.

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