La Chiesa bergamasca e l'Imu:
«Il nostro impegno è per tutti»

L'Ufficio Affari economici della Curia sta inviando a tutte le parrocchie un chiarimento su cosa fare con l'Imu. L'economo della Curia, mons. Lucio Carminati: «È volontà del vescovo e di tutti di comportarsi con la massima trasparenza».

L'Ufficio Affari economici della Curia sta inviando a tutte le parrocchie  una lettera che chiarisce che cosa fare in relazione all'Imu. Ne parliamo con l'economo della Curia, mons. Lucio Carminati.

Allora l'Imu si paga?
«Prima di tutto voglio dire che c'è naturalmente la volontà del vescovo e di tutti i parroci di comportarsi con la massima trasparenza su tutte le realtà della diocesi e di assecondare tutte le disposizioni di legge, come del resto si è fatto in passato. La chiesa ha sempre pagato tutto ciò che è stato richiesto, tanto che non ci sono mai stati contenziosi con i Comuni. Proseguiamo perciò su questa strada. Aggiungo però che c'è un po' di amarezza nel constatare che ciò che le parrocchie e i volontari fanno a beneficio di tutta la comunità, accogliendo tutti, non viene considerato».

Una questione che riguarda tutto il no profit, in questi giorni in fermento dopo il parere del Consiglio di Stato sul regolamento approntato dal governo.
«In tanti, compresa l'Azione Cattolica hanno sottolineato che gli effetti sociali della crisi economica sarebbero molto più dirompenti senza l'assistenza fornita da istituzioni religiose e volontariato laico e religioso. Siamo preoccupati per tante associazioni e organizzazioni sociali, basta pensare alla Caritas e a quello che fa. Se crolla il no profit, lo stato non potrà farcela da solo e la situazione dei più deboli peggiorerà ancora»

Da tempo le parrocchie aspettavano indicazioni sull'Imu. Cosa dice la lettera?
«Spiega che la Dichiarazione Imu è dovuta per tutti gli immobili di cui la parrocchia è proprietaria o titolare di diritti reali e che la dichiarazione riguarda anche gli immobili già ritenuti esenti al tempo dell'Ici. La dichiarazione riguarda anche gli edifici di culto, le strutture parrocchiali, le abitazioni dei sacerdoti e le pertinenze. Il termine per la presentazione è stato spostato al 4 febbraio 2013. La dichiarazione non comporta necessariamente un pagamento, perché in realtà non sappiamo ancora che cosa e quanto si dovrà pagare. Ma la dichiarazione è un obbligo di legge».

Quanto pagava la diocesi di Ici?
«Ad oggi la Chiesa di Bergamo paga allo Stato oltre due milioni di euro di Ici, con l'Imu stimiamo di arrivare a tre milioni. Versiamo ogni anno circa 350 mila euro per gli enti di proprietà diocesana e 650 mila euro per i beni dell'Istituto diocesano di sostentamento del clero e almeno un milione e 200 mila euro per i beni parrocchiali in affitto a terzi. Con l'introduzione dell'Imu abbiamo calcolato un aumento del gettito di 500 mila euro per gli enti di proprietà diocesana e di un milione e 100 mila euro per l'Istituto di sostentamento del clero. Poi paghiamo l'Ici sui beni diocesani ceduti a terzi per organizzare strutture d'accoglienza».

L'ici però escludeva scuole d'infanzia, case di riposo, oratori che invece rientrano nell'Imu
«Si, le scuole e le case di riposo per via della retta che si paga, anche se non sono strutture a fini di lucro. Gli oratori per via del bar, considerato attività commerciale anche se non può emettere fattura e quindi paga per esempio l'Iva che non si può detrarre».

La diocesi di Milano ha scelto il frazionamento catastale per scorporare i bar dal resto della struttura.
Per la tipologia dei nostri oratori non riteniamo che sia la soluzione più adeguata.

Di quante strutture stiamo parlando?
«Le scuole materne parrocchiali, sono 160 in tutta la diocesi, gli oratori oltre 200 e le case di riposo almeno una trentina».

Molti parroci sono preoccupati soprattutto per la sorte delle scuole d'infanzia, che già hanno bilanci risicati
«Sono realtà educative fondamentali per le comunità, soprattutto nei paesi piccoli dove rappresentano l'unica risorsa e suppliscono a una carenza. Le parrocchie non ci tirano fuori soldi, ma ce ne mettono. E le scuole stanno in piedi solo perché sono radicate, la gente dà una mano e anche il personale accetta compensi un po' più bassi che nella scuola statale. Ripeto, in queste strutture c'è gente che ci mette anima e corpo e energie perché ci crede e vuole offrire un servizio che altri non farebbero o che costerebbe molto di più e poi si passa per chi ci vuol guadagnare».

Vien voglia di chiudere tutto?
«Diciamo che bisogna crederci molto, aver chiaro che quello che fai, si fa per la gente. Bambini, anziani, adolescenti, famiglie. Nei comuni più grandi la parrocchia sta accanto ad altre agenzie educative e assistenziali e fa la sua proposta di servizio. Ma in certe piccole realtà, se chiudono le strutture parrocchiali, la comunità resta senza punti di riferimento fondamentali, soprattutto i bambini e i ragazzi. Ma proprio per questo non chiuderemo mai, a nessun costo rinunceremo al nostro impegno educativo».

Anche se diventasse molto oneroso?
«Anche. Il problema è che l'Europa distingua fra un'attività definibile come commerciale perché c'è scambio di denaro e un'attività a scopo di lucro. La finalità è completamente diversa, ma la normativa europea mette sullo stesso piano un baretto di oratorio che va in pareggio o ri-immette il margine ottenuto nelle attività per i ragazzi e un vero esercizio. É anche vero che gli oratori sono una realtà molto nostra, che riguarda alcune regioni italiane ed è difficile da spiegare a chi non la conosce. Io spero ancora che prevalga il buonsenso. Ma in ogni caso la legge va osservata e noi, naturalmente e come sempre, lo faremo».

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