Sestini: «Porta Sud deve ripartire
con un grande nome e progetto»

«Porta Sud era la grande occasione di sviluppo della nostra città. Ora è tutto molto più difficile. E soprattutto non possiamo continuare ad affrontare questa sfida come abbiamo fatto finora». Parola di Roberto Sestini, presidente della Siad.

«Porta Sud era la grande occasione di sviluppo della nostra città. Ora è tutto molto più difficile. E soprattutto non possiamo continuare ad affrontare questa sfida come abbiamo fatto finora».

Cioè non dobbiamo fare i bergamaschi?
«Esattamente».
Parola di Roberto Sestini, imprenditore e presidente della Siad. Classe 1935, laureato in Ingegneria chimica ed Economia e Commercio, fino al 2010 presidente di lungo corso della Camera di Commercio. Ente che si è battuto come un leone (detiene il 10 per cento delle quote) per far partire un progetto che ora segna il passo. Nonostante le rassicurazioni di Palafrizzoni. Sestini parla di Porta Sud, ma non solo...

Scusi ingegnere, lei è bergamasco...
«Vero».

E cos'è, un mea culpa?
«No, una presa d'atto della realtà delle cose. Porta Sud è un progetto che va a trasformare Bergamo da oggi a sempre, e questo aspetto l'abbiamo forse preso sempre sottogamba».

Si è persa la percezione della valenza storica dell'intervento?
«Purtroppo temo di sì. Pensavo a quando i nostri padri, o nonni, hanno fatto il centro di Bergamo: a chi si sono rivolti? Al più grande architetto italiano dell'epoca, Marcello Piacentini. È stato poi supportato dal nostro Sandro Angelini, ma ha dato una visione complessiva e articolata del futuro centro».

Non teme che l'archistar di turno agisca in una visione un po' troppo avulsa dal contesto locale? Troppo spesso i loro interventi sollevano un polverone...
«Ma questo è un problema di cultura moderna: nel 2013 non possiamo pensare di fare i palazzi con i fregi o in stile Liberty. Guardi i nuovi grattacieli di Milano: bellissimi. D'accordo, non è Dubai, ma che begli interventi...».

Obiezione che viene spesso sollevata, molto made in Bg: quelle cose vanno bene a Milano, non a Bergamo...
«Ma perché, scusi? È una visione sbagliata: dobbiamo avere il coraggio di guardare avanti. L'allora presidente della Provincia, Valerio Bettoni, una visione d'insieme l'aveva avuta: cominciando dalla concentrazione dei vari uffici sparsi in più sedi in una sola nuova struttura, risparmiando sugli affitti e finanziando così la nuova opera. Come è finita? È stata subito bocciata appena ha lasciato Via Tasso».

Per motivi economici. O politici?
«Sicuramente allora la situazione economica avrebbe consentito di realizzare l'opera. Oggi non sarebbe possibile».

Vero però che la visione complessiva era un po' debole sul piano economico, considerando che non c'era alcun piano B...
«Il progetto in sé era logico, ma mancava tutto il contorno».

Cosa intende?
«Un'area del genere non la vediamo più a Bergamo, non esiste... Se non la sfruttiamo al massimo e decidiamo di procedere per piccoli interventi, facciamo un disastro».

Pare però la linea d'intervento prossima ventura: intervenire per lotti. Non la condivide?
«No, è una cosa da poveri martiri. O meglio, si può fare anche a pezzi, ma in un disegno complessivo. Occorre avere la capacità di guardare al futuro».

Lei ha lasciato la Camera di Commercio nel 2010, e si è fatto molto da parte...
«Sì, perché non condivido molte cose. Non mi piacciono le critiche non costruttive, quindi...».

Cosa non condivide, per esempio?
«Per esempio il fatto di aver demolito Servitec a Dalmine e cercare di portare tutto in Bergamo Formazione che ora si chiama Bergamo Sviluppo... Se lo scopo della società non era giusto la si cancella, ma non si fa morire una struttura per farne un'altra e senza motivi apparenti. Modifichiamola».

Lei però è sempre stato contrario ad andare al Kilometro Rosso.
«Anche qui... Sono due cose completamente diverse. Non è che non ci volessi andare, ci mancherebbe: e all'amico Alberto Bombassei faccio i miei complimenti ora che si è messo anche in politica».

A lei non gliel'hanno mai chiesto?
«No, perché sanno che non accetterei. Ma tornando alla questione, stiamo parlando di due strutture dalle filosofie molto diverse: grandi soggetti, spazi e costi (giusti) che vanno di conseguenza al Kilometro Rosso. Servitec era per i piccoli: una scala differente».

Si poteva pensare di essere complementari...
«C'erano necessità completamente diverse, anche in termini di spazi».

In sostanza, lei pensa che si sia voluto dare un segno di discontinuità a prescindere?
«Sì, e non capisco perché».

Ingegnere, lei ha fatto 18 anni da presidente della Camera di Commercio.
«Di fila, e prima 6 agli industriali».

Ecco, dopo un quarto di secolo ai vertici, com'è Bergamo vista da fuori?
«Lenta».

Permette una domanda cattiva?
«Certo».

Ecco, uno potrebbe anche pensare che la lentezza derivi anche dal mancato ricambio generazionale al momento giusto. Non trova?
«Credo che anche la politica abbia il suo peso. Per esempio in progetti di lunga durata come Porta Sud non dovrebbe entrarci: perché quando poi cambia questa o quella maggioranza, si ferma tutto».

Le ribalto la questione: la politica ogni 5 anni può cambiare, visto che ci sono le elezioni. Alcune istituzioni invece non sono cambiate così velocemente.
«Questo può anche essere vero: non lo nego. Ma quando Bergamo fa progetti di così ampio respiro, deve sapersi astrarre da visioni che siano solo politiche, nel senso di questa o quella parte. Perché i risultati sono sotto gli occhi di tutti: continuiamo a concentrare tutte le funzioni di questa città in centro, e non ci stiamo più».

Quindi come ne usciamo?
«Con una visione meno bergamasca, alla Kilometro Rosso. Qualcosa che dia uno shock anche dal punto di vista visivo».

Secondo lei si può ripartire per Porta Sud?
«Sì, ma in un altro modo. Credendo davvero al progetto e agendo di conseguenza».

E da dove ripartiamo?
«Da un progetto di carattere internazionale, mondiale. Prendiamo la vicenda del nuovo ospedale: la scelta non è caduta a casa su un concorso internazionale, e la qualità progettuale si vede».

Curiosamente, poi, al bando di gara internazionale per la nuova sede della Provincia in Porta Sud c'erano state più manifestazioni d'interesse che per l'area della vecchia Fiera a Milano.
«Certo, perché su un'area del genere c'è molta attenzione: quante sono le città che possono permettersi di ripensare una porzione così ampia da realizzare di fatto un nuovo centro?».

Quindi ricominciamo da...?
«Un grande nome e un grande progetto».

Obiezione: c'è la crisi.
«Se si ragiona così non si va più avanti».

Però è il leit motiv delle amministrazioni pubbliche e anche di molti privati.
«La crisi la sento anche io in azienda, e so solo una cosa: è in questi momenti che si decide su cosa puntare ed investire».

Dino Nikpalj


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