«La Lombardia merita di più»
«L'Eco» intervista Mario Monti

di Giorgio Gandola
La salita in politica è lunga un kilometro e in fondo è pianeggiante. Mario Monti la percorre qui a Bergamo fra parole solide, applausi convinti. Il Presidente ha deciso di partire dalla sua Lombardia, da una città roccaforte della Lega e dell'esperienza formigoniana.

La salita in politica è lunga un kilometro e in fondo è pianeggiante. Mario Monti la percorre qui a Bergamo fra parole solide, applausi convinti. E una certa dose d'emozione che non poteva prevedere. Arriva quando il premier riflette su ciò a cui dovrà rinunciare per dedicarsi alla corsa: «Ho cinque nipotini e mi sarebbe piaciuto finalmente passare più tempo con loro. Ma credo che se avessi scelto questo, avrei fatto un torto proprio a loro». Si commuove per un attimo, pensando al futuro del piccolo Spread (uno dei nipoti soprannominato così all'asilo per ammissione del nonno) e agli altri bambini di un'Italia ancora fragile. Sono le cinque della tarde. Ovazione, l'avventura è cominciata.

C'è la sensazione palpabile che questo non sia un «centrino» come quelli che l'hanno preceduto negli anni fra i colossi di destra e di sinistra, ma sia un'alternativa ai partiti usciti decotti dalla crisi. E certamente nelle intenzioni di Mario Monti vuol essere anche una risposta concreta alle tentazioni di non voto o di folcloristica protesta. «Siamo una realtà civica, liberale e popolare», sottolineano i leader mettendo insieme due vocaboli che neppure nell'Italia della prima Repubblica non s'erano mai frequentati. L'élite c'è, il popolo non ancora e l'impegno sociale non del tutto. Monti ha deciso di spendersi davvero. «Avrei potuto aspirare a trascorrere sette anni in un ruolo meno rilevante per cambiare il Paese». E invece niente Quirinale, si corre per continuare le riforme.

Presidente Monti, ha deciso di partire dalla sua Lombardia, da una città roccaforte della Lega e dell'esperienza formigoniana. Due realtà politiche in transizione. Ci spieghi il senso politico di questo gesto.
«Per me che sono lombardo e ho lavorato per la maggior parte della vita a Milano, la tradizione civica di questa parte d'Italia è molto importante. Soffro nel vedere non realizzata la promessa di rivoluzione liberale fatta da Berlusconi nel 1994. E anche nel constatare che l'impatto della Lega non è stato quello che avrei sperato. Nessun effetto positivo, non è stata fattore di spinta verso una più profonda vitalità europea. La Lombardia ha bisogno di novità e di risposte».

La Questione settentrionale continua ad esistere, come pensa di affrontarla?
«Negli ultimi 20 anni questa parte d'Italia ha patito perché una proposta politica insoddisfacente, non concretizzandosi, ha finito per penalizzarla. Penalizzare la parte più produttiva del Paese, che avrebbe prodotto di più e meglio con mercati più liberi, con più infrastrutture, con minori tasse e minore burocrazia. E invece liberalizzazioni poche, ne abbiamo fatte più noi in un anno di emergenza che prima. Infrastrutture non in rapporto alla vitalità dell'economia locale. Pdl e Lega non sono riusciti o non hanno voluto superare le resistenze degli apparati pubblici. La Questione settentrionale esiste. Ed è in parte il risultato dell'insuccesso della proposta politica settentrionale».

È proprio sicuro di convincere le persone a votare per il premier del rigore e delle tasse?
«A scenari cambiati un alleggerimento fiscale è possibile. L'anno scorso l'emergenza imponeva una strategia ben più rigida. E non sottovaluterei il progredire dei frutti alla lotta all'evasione fiscale. Mentre durante l'emergenza più dura il governo esitava a fare promesse di restituzione dei proventi dell'evasione, in una prospettiva positiva si può immaginare che ciò accada. Prenda l'Imu. È nata durante il governo Berlusconi con effetto dal 2014, ce la siamo trovata sulla strada e abbiamo dovuto applicarla in modo adeguato. Non è contraddittorio, dopo essere stati piuttosto rigidi con il consenso dei partiti, alleggerirla a situazione cambiata. L'importante è non fare promesse facili che poi si rivelano indigeste».

La candidatura del padrone di casa Alberto Bombassei è un segnale forte al mondo delle imprese. Com'è nata?
«Il Parco scientifico-tecnologico del Kilometro rosso è un luogo simbolico del futuro del nostro Paese. Bombassei è il candidato che rappresenta al meglio l'industria italiana nel mondo ed è anche un bell'esempio di persona che ha deciso temporaneamente di caricarsi sulle spalle l'impegno diretto per la cosa pubblica».

Il ritorno di Berlusconi sulla scena ha cambiato le regole della comunicazione in campagna elettorale. Prima si adottavano quelle degli scacchi, adesso siamo tornati al videopoker. Non si sente svantaggiato?
«La regola principale del poker dovrebbe essere il silenzio, no? Non credo di essere svantaggiato. Nella prima fase del mio governo non c'era saggio ed esperto di immagine che non sottolineasse il ritorno alla sobrietà come una liberazione per gli italiani. Non so se gli elettori siano già tornati a preferire lo stile truculento».

Roberto Maroni sostiene che la Lega lotterà per trattenere in Lombardia il 75% delle imposte. In caso estremo dovranno venirsele a prendere i carabinieri.
«Lui è stato ministro dell'Interno e conosce la materia meglio di me. Ma credo che la logica venga prima dei carabinieri. Ho difficoltà a vedere coerenza fa questo programma e gli interessi del Sud che sta col Pdl. La Lega si vergogna dell'Italia e invidia la Germania. Ma imputa alla Germania errori fatti dalla nostra politica, che hanno allontanato l'Italia e la Lombardia dall'Europa. Noi non cambieremo mai il nostro Paese con un altro e mai vorremmo vederlo spaccato».

Oggi, mentre parlava, abbiamo notato una certa emozione. Non è da lei.
«Tutti abbiamo evocato qualcosa che era visibilmente presente nell'aria: la speranza. E tutti abbiamo affrontato la sfida con dentro qualcosa che si diceva essere assente: la passione. Cosa le devo dire, mi è venuta la passione».

Ha avuto parole di ringraziamento per il presidente Napolitano. Resta il suo nume tutelare?
«Non so se la mia decisione di salire in politica gli faccia piacere oppure no, ma si ispira a un amore comune per il Paese e si concretizza nel desiderio di vedere la politica italiana tornare ai livelli che dovrebbero esserle abituali».

L'appello a un voto utile non è un po' riduttivo?
«Noi non chiediamo il voto contro qualcuno, ma per l'Italia. Può non essere un voto utile, ma "il" voto utile. Pdl e Lega devono arrendersi all'evidenza: noi siamo gli antagonisti al vecchio rappresentato da loro, che da 20 anni tradiscono la rivoluzione liberale e federalista. Siamo alternativi a loro, e anche alla coalizione di centrosinistra. Il presidente Vendola ha dichiarato: potremmo anche collaborare, ma prima Monti faccia autocritica. Ma scherziamo? Oggi nella sinistra ci sono apprezzabili impulsi liberalizzatori, hanno scoperto l'economia di mercato. Ma molti di noi erano in sintonia con l'Europa dagli anni Settanta...C'è una terza coalizione della quale vorremmo essere migliori: quella dei non votanti. Chi non vota fa solo un regalo alla vecchia politica. Non volete fare una scelta politica? Fate una scelta civica».

Servono riforme, neppure lei è riuscito a fare quelle che servivano. «Servono riforme per abbattere i privilegi di chi ne ha troppi e dare speranze ai giovani. Servono iniziative per ridurre in modo significativo i parlamentari e snellire la burocrazia istituzionale. Sul lavoro abbiamo avuto ostacoli dal blocco socio-sindacale di sinistra. Sulla Giustizia, sul falso in bilancio e sulla corruzione ostacoli dal blocco di centrodestra per ragioni storiche e personali che conosciamo. Ho visto in Parlamento progressivamente affievolirsi la volontà dei due poli di andare avanti con le riforme. Ora starà agli elettori decidere chi è più credibile».

Il professor Luigi Zingales ha tirato le orecchie a tutti, a lei e a noi giornalisti. Ha scritto: «Negli Stati Uniti le interviste sarebbero cominciate tutte allo stesso modo: «Presidente, quando le fu conferito l'incarico lei si impegnò pubblicamente a non candidarsi e a fare pressione perché i suoi ministri non si candidassero. Invece ha creato un partito e candida i suoi ministri. Come può convincere gli elettori a fidarsi di lei, quando ha violato la prima promessa da uomo di governo?». Detto fatto, noi l'intervista la chiudiamo.
«Il professor Zingales è un eccellente economista e l'università Bocconi è orgogliosa di averlo fra i suoi laureati. Non condivido quasi mai le sue posizioni da censore. Non mi sono candidato, ma ho accettato di patrocinare un movimento politico; capisco che per chi vive negli Stati Uniti sia una sottigliezza. Ho spiegato che rispetto a quella previsione iniziale è nel tempo cambiata in me la percezione di cosa sarebbe stato moralmente più giusto. È aumentata la preoccupazione di fare in modo che i sacrifici che avevo dovuto chiedere agli italiani non venissero dissipati. Avrei potuto aspirare a posizioni più comode, a fare il senatore a vita. E invece eccomi in gioco. La mia credibilità la giudicheranno i cittadini».

Giorgio Gandola

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