Una vita per la fotografia
Si è spento Rinaldo Della Vite

Rinaldo Della Vite, l'ultimo grande fotografo amatoriale bergamasco, si è spento venerdì all'età di 82 anni. Decano dei fotografi bergamaschi, ha speso tutta la propria esistenza per la sua grande passione, quella della fotografia. Nel settembre scorso, il Circolo Culturale Greppi gli aveva dedicato una grande mostra - «Una vita per la fotografia» appunto - composta da 250 foto, una minima parte dell'eccezionale archivio di oltre 100.000 fotografie che Della Vite ha ordinato nella sua abitazione in via Cameroni, un quieto quartierino tra via Baioni e la Morla a Bergamo,dove si respira ancora un'aria d'anni Venti.

L'attività di Della Vite ebbe origine da un viaggio. Siamo nel 1962. Con la fotografia non era alle prime armi. Aveva già la passione nel sangue: ritratti, panorami, soggetti inquadrati a Bergamo e nella Bergamasca (soprattutto nelle vallate), incontri con altri autori, partecipazione a concorsi e rassegne fotografiche.

Ma non era mai uscito, o quasi, da uno stretto ambito locale. L'occasione gli si presentò da un invito in Basilicata, che allora era veramente il «profondo Sud». Un mondo a parte, con i tempi, le tradizioni, la cultura di una terra antica. Della Vite ne restò affascinato. Avvertì la possibilità di raccontare non una storia, ma una «civiltà». Veniva da lontano, ma non si sentì un estraneo. Quella gente povera, che campava di poco, tra stenti e fatiche d'ogni genere, aveva l'ospitalità nel cuore.

Il fotografo bergamasco poté muoversi ovunque, a piedi o a dorso di mulo, venendo accolto da questi contadini e pastori come un fratello. Non ne approfittò. Fotografò con grande sensibilità e partecipazione la vita di uomini e donne che gli si presentavano con una dignità innata. Da questo viaggio uscì uno straordinario fotoreportage che fu accolto come una forte testimonianza di quel neorealismo italiano che stava facendo scuola nel campo della fotografia e del cinema. Per Rinaldo Della Vite fu un'esperienza unica.

Se nella vita di Della Vite il reportage sulla Basilicata riveste un ruolo importante, non sono da meno gli «scatti» nelle valli bergamasche, che negli anni Sessanta stavano per essere coinvolte da trasformazioni profonde. Un mondo antico come al Sud e altrettanto vulnerabile. Osservando le fotografie ci si rende conto - ma solo oggi - che le immagini dei pastorelli (una piaga sociale delle nostre montagne, ormai dimenticata) non sono molto lontane da quelle dei poveri contadini del Sud; anche nella Valle Imagna e nella Valle Taleggio - ricchissime di tradizioni e con una architettura unica - lo sradicamento sociale e l'emarginazione erano simili a quelli della Basilicata.

Della Vite si è fatto conoscere a livello nazionale con il suo reportage del 1962, ma la sua sensibilità, la poesia, l'amore per il «mondo dei semplici», ne caratterizzano l'attività fin dagli inizi. Appartiene agli anni Cinquanta la serie di scatti sulla «domenica del pastorello» (1958), mentre le prime immagini sulla Valle Imagna risalgono al 1954, oltre mezzo secolo fa. Fotografie che fanno riflettere sulla vita e sull'ambiente delle nostre montagne di allora e sulle profonde trasformazioni intervenute. Non a caso il Centro Studi Valle Imagna ha raccolto e presentato nel bel volume «Bergamì», uscito nel 2001, questa importante, e per certi versi unica, documentazione.

Altre immagini di quel periodo appaiono costruite già come un racconto. Ne è un esempio la serie sulle olimpiadi scolastiche di Valtorta, nel 1962. Non è da meno la bella sequenza sull'ordinazione sacerdotale di qualche anno più tardi.

Nel frattempo Della Vite ha avuto occasione di seguire il pellegrinaggio in Terra Santa di Paolo VI: un reportage rigoroso, intenso, al quale l'uso del bianco e nero, con i forti contrasti di luci e di ombre, dà una impronta particolare.

Rinaldo Della Vite si è formato con il bianco e nero. Al colore arriverà più tardi, e con buoni risultati: dal mondo contadino di Grosio, al quale dedicherà il bel volume «Invito a Grosio», pubblicato nel 1998, all'indagine sul carnevale e le sue tradizioni, in collaborazione con il figlio Giorgio. Ma è sempre nel bianco e nero che l'autore si esprime al meglio e il rapporto con la realtà si fa più essenziale ed efficace.

Nei «fotoritratti» di Della Vite si intuisce che il fotografo è in grado di «dissimulare» completamentela propria presenza. Ma il soggetto non è mai estraneo al mondo di chi sta dietro l'obiettivo. La sensibilità di Rinaldo Della Vite è condivisione. Dalla bambina che sgranocchia il suo pezzo di pane (non siamo ancora alle brioches o ai pasticcini) al ragazzo (Giorgio) accanto alla gabbia, alla bellissima Daniela con il gattino; ma c'è anche la sequenza del carnevale dedicato a Charlot (1962) che anticipa l'intensa indagine sul folclore e sulle feste popolari in Lombardia.

Definito l'«ultimo grande fotoamatore bergamasco del secolo scorso», Rinaldo Della Vite ha ricevuto importanti riconoscimenti per la sua attività: nel 1983 accademico benemerito dell'Accademia Internazionale dell'Arte fotografica; nel 1989 proclamato maestro della fotografia italiana dalla Fiaf che nel 2001 gli ha dedicato, «Autore dell'anno», una importante monografia.

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