Amianto, benefici non dovuti: sette indagati

Amianto, benefici non dovuti: sette indagatiUn ispettore Inail, 5 delegati sindacali, un quadro della Dalmine. L’azienda: per noi un danno da 10 milioni

Scivoli pensionistici ottenuti senza avere i requisiti richiesti dalla legge per chi lavora a contatto con l’amianto. Benefici contributivi assicurati sulla base di dati manipolati a vantaggio dei lavoratori «esposti» alla Dalmine, ma ai danni dell’erario. Per gli inquirenti, un raggiro milionario a svantaggio dello Stato nel quale sono coinvolti delegati sindacali, dipendenti pubblici e privati.

La Procura ha messo sotto inchiesta sette persone con l’accusa di aver aggiustato le certificazioni necessarie affinché gli operai ottenessero le agevolazioni previste per chi lavora a contatto con il materiale tossico.

Le ipotesi di reato contestate sono la truffa e il falso. Nel registro degli indagati sono finiti un ispettore dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (Inail), un «quadro» della Dalmine e cinque delegati sindacali: due della Cgil, due della Cisl (di cui uno già in pensione) e uno della Uil.

Ipotesi di reato rispetto alle quali l’azienda si dichiara estranea e rende noto di averne sopportato danni ingenti e non ancora sanati a livello produttivo e organizzativo.

Bocche cucite sul fronte degli investigatori, i militari della Guardia di Finanza, che stanno ancora accertando le eventuali responsabilità e il grado di coinvolgimento di ciascun indiziato.

A quanto è stato possibile apprendere, però, l’ossatura dell’inchiesta è già definita: in qualche passaggio (agli inquirenti stabilire quale) dall’azienda al sindacato fino ad arrivare all’Inail, le domande per accedere ai benefici previdenziali venivano «aggiustate» in modo che anche gli operai senza requisiti potessero ottenerne i vantaggi.

Un passo indietro. La legge numero 257 del 1992 (che ora sta per essere modificata) prevede scivoli pensionistici per chi ha lavorato almeno dieci anni a contatto con l’amianto, assorbendone 100 fibre/litro medie annue per otto ore al giorno (il materiale è tossico e può provocare gravi malattie come il mesotelioma, un tumore della pleura).

L’agevolazione consiste in questo: il numero degli anni lavorati in reparti classificati a rischio viene in sostanza maggiorato della metà, favorendo il prepensionamento.

Un paio di esempi: un dipendente che ha accumulato dieci anni è come se ne avesse fatti 15, uno che ne ha lavorati 12, è come se fosse arrivato a 18. Per ottenere questi benefici occorre presentare una domanda, in sostanza istruire una pratica.

La procedura: l’operaio richiede un «curriculum» della sua attività all’azienda. La società lo rilascia, dandone una copia al dipendente e inviandone una seconda all’Inail.

Il lavoratore porta poi la documentazione al sindacato, dove gli viene fatta compilare una sorta di autocertificazione nella quale indica i propri dati sul lavoro svolto in ditta, precisando periodi, reparti, mansioni e altre indicazioni del genere.

Alla fine il fascicoletto arriva all’Inail, che valuta se l’operaio in questione ha i requisiti per godere dei vantaggi di legge.

L’Istituto di via Matris Domini rilascia un certificato che attesta il periodo di esposizione all’amianto. Se le indicazioni corrispondono a quelle previste dalla normativa, il dipendente passa poi all’Inps per «incassare».

In uno o più di questi passaggi azienda-sindacato-Inail i dati venivano manipolati e le carte falsate, come avrebbero accertato i finanzieri di Treviglio confrontando le pratiche con la documentazione sequestrata in azienda. Il sistema sarebbe stato questo: si faceva figurare un periodo di dieci anni in un reparto a rischio amianto anche per chi quegli anni non li aveva maturati (tutti o in parte) lavorando a contatto con il materiale oppure si modificava il settore lavorativo, in modo che risultasse che un operaio era stato esposto al rischio quando, magari, aveva lavorato in reparti dove non c’era amianto.

Una ventina i casi verificati tra il ’99 e il 2002. Ora gli investigatori stanno cercando di capire le varie fasi della falsificazione e, da queste, eventuali responsabilità. Ovvero: chi materialmente modificava i dati? E con quali coperture, se coperture c’erano?

C’è poi il problema dei benefici ottenuti. Se le irregolarità dovessero essere accertate, è chiaro che i vantaggi acquisiti illecitamente saranno quantomeno ridiscussi.

La Dalmine, che alla data del 10 novembre scorso ha visto andar via complessivamente 1.103 dipendenti (su 2.510 richiedenti) per scivoli pensionistici dovuti alla legge sull’amianto, in un comunicato stampa dichiara: «Fermo restando che la Dalmine è totalmente estranea rispetto alle fattispecie di reati ipotizzati nell’oggetto di indagine, va rilevato che i danni che la società ha sopportato a livello produttivo ed organizzativo per effetto degli atti di indirizzo sono ad oggi ingenti e non ancora sanati. In particolare: 1) il personale fuoriuscito ammonta a oltre 400 addetti nel corso di 24 mesi, con l’aggravante di essersi concentrato in alcune specifiche aree e professionalità (acciaieria e manutenzione in particolare), trovatesi di colpo sguarnite di personale di età mediamente di circa 48 anni, caratterizzato quindi da elevata specializzazione ed esperienza; 2) i costi conseguenti, per perdita di produttività ed efficienza oltre che per la sostituzione e la formazione del nuovo personale che ha sostituito quello fuoriuscito, si possono stimare ben oltre dieci milioni di euro».(06/12/2003)

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