Assolto imprenditore per evasione
Il gup: «Preferì pagare gli stipendi»

Il titolare di un’azienda in crisi «scelse» di «continuare a pagare gli stipendi» ai dipendenti e di non versare i «contributi previdenziali» su quelle paghe, «consapevole che la perdita della retribuzione per gli operai edili avrebbe determinato un danno grave».

Il titolare di un’azienda in crisi «scelse» di «continuare a pagare gli stipendi» ai dipendenti e di non versare i «contributi previdenziali» su quelle paghe, «consapevole che la perdita della retribuzione per gli operai edili, nell’attuale situazione di crisi profonda del settore, oltre che dell’economia in generale, avrebbe determinato un danno grave» per loro e per le «relative famiglie». Lo scrive il gup di Bergamo nelle motivazioni della sentenza con cui ha assolto l’imprenditore dall’evasione contributiva.

L’imprenditore Giacomo Colnaghi, titolare di una piccola impresa edile di Castel Rozzone, era imputato per non aver versato all’Inps “«e ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori» per le mensilità comprese tra il gennaio 2010 e il dicembre del 2011 per un totale di circa 130mila euro.

L’uomo, però, assistito dai legali Salvatore Aprigliano e Mauro Straini, era stato assolto lo scorso 25 ottobre perché «il fatto non costituisce reato». Nelle motivazioni, da poco depositate, il gup di Bergamo Raffaella Mascarino ha riconosciuto che nel caso dell’ imprenditore «ricorrono gli estremi dello stato di necessità quanto meno putativo».

L’imprenditore, infatti, scrive il gup, che era in grave «crisi di liquidità» ha omesso di versare i contributi «ritenendo, forse per errore, che la spendita delle ormai scarne liquidità di cui disponeva per far fronte agli obblighi contributivi piuttosto che corrispondere le retribuzioni ai lavoratori avrebbe comportato per questi un pericolo attuale di danno grave alle loro persone e alle persone dei loro famigliari, potendo ritenersi ragionevole - aggiunge il gup - che la mancata percezione dello stipendio, nell’attuale congiuntura economica, avrebbe determinato il collasso di numerose gestioni famigliari soprattutto se a carattere monoreddito».

Il giudice sottolinea, dunque, la «buona fede» dell’imprenditore, che ha pensato allo «stato di necessità» dei suoi operai e l’assenza del dolo, ossia della volontà da parte sua di commettere il reato. «Una sentenza coraggiosa e giusta», hanno commentato gli avvocati Straini e Aprigliano.

© RIPRODUZIONE RISERVATA