Beviamo un caffè nel suo ricordo
Il Tino del Bar Haiti è volato in cielo

Nessuno lo conosce come Bar Haiti. Quel locale sempre affollato sotto i portici di largo Rezzara è per tutti il «Bar del Tino». Perché tutti, Ernesto Acquaroli lo conoscevano e tutti sanno già che è «volato in cielo» come la moglie Camilla e la figlia Simona hanno scritto ieri sulla saracinesca del bar.

Fino a due mesi fa era lui ad aprire la mattina presto ed era suo l’ultimo caffè la sera: 32 anni spesi in quel locale stretto e accogliente, perché fare il caffè è sempre stata la sua vita. Fin da ragazzino, quando a 12 anni ha imparato il mestiere in un bar accanto alla chiesa di Santa Lucia, in via XX Settembre. È lì che scoprì la bellezza di un lavoro che lo ha messo tutta la vita di fronte alle persone, a vite diverse che si svelano davanti a una tazzina. Orfano di padre, quella paga serviva alla famiglia numerosa, perché a quei tempi «non c’erano i soldi neppure per i calzoni lunghi» ricordano i parenti. Dopo dieci anni andò a lavorare dal fratello Pierluigi, nel bar Sant’Alessandro vicino alla chiesa, per poi ritirare il bar Haiti nel 1983.

Una vita nel centro cittadino ad ascoltare la gente. Ieri alle 15, dopo un ricordo proprio davanti al suo bar, nella camera ardente allestita nella Chiesa della Madonna del Patrocinio (ingresso da via Borfuro) è stato un via vai di amici, clienti, tanti negozianti. Il borgo lo saluta (i funerali sono mercoledì alle 9,30 in Sant’Alessandro), con rispetto e riconoscenza. Per la sua generosità, per quel fare cordiale, lui che chiamava tutti «ragazzo» e «ragazza» e ha visto crescere quel mondo di negozi e case.

Ci mancheranno la sua ironia, il suo tifo sfegatato per la Fiorentina, le sue spalle. Sì, le sue spalle, perché lui guardava prima di tutto la macchina del caffè e intanto aveva un occhio per tutti, con quel suo dire rigoroso «Seguimi» ai ragazzi che lo aiutavano, e quel sapere già prima dell’ordinazione cosa chiedevano i clienti. Un microcosmo di emozioni, con Camilla e Simona sempre pronte ad accogliere un pezzo di città. «Ho lavorato a suo fianco 13 anni: mi ha insegnato non solo a lavorare ma ad affrontare la vita nel modo giusto» è il ricordo di Alessandro Perego, uno dei ragazzi che col Tino è cresciuto.

Il 2 dicembre avrebbe compiuto 69 anni, ma sono bastati 50 giorni per portarlo via: una malattia che non gli ha lasciato scampo, ma fino all’ultimo non gli ha tolto quel sorriso dagli occhi che tutti ricorderanno. Quando si andava dal Tino anche solo per leggere il giornale, per lasciare le chiavi che poi passava qualcuno a riprendersele, il sacchetto della spesa. C’è dolore, ma anche serenità davanti al Bar Haiti: tutti pensano a Edoardo, figlio di Tino scomparso 17 anni fa, lo stesso giorno ma del mese di settembre. Noi lo ricorderemo con il suo inconfondibile cappello a barchetta, le maniche rimboccate della camicia e l’immancabile gilet. E si sorride a chi ha il dono di entrare nella vita delle persone: in molti oggi un caffè se lo berranno nel suo ricordo.

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