Coniugare l’arte al plurale
Christo, l’artista del «noi»

A volte per capire meglio la natura di un artista è utile prestare attenzione a come parla e a come scrive. Prendiamo ad esempio il caso di Christo, artista globale ormai ben familiare al pubblico lombardo grazie alla grande operazione che verrà inaugurata sabato 18 sul Sebino. Difficilmente capiterà di ascoltare dalla sua bocca il pronome personale «io». Christo infatti parla abitualmente, se non addirittura sistematicamente al «noi».

È una scelta che racconta molto della sua identità d’artista. In prima istanza quel «noi» è un riconoscimento, intellettuale e anche sentimentale, del ruolo che in tutta la sua carriera ha avuto la moglie Jeanne-Claude, morta nel 2009. Christo si concepisce ancora come coppia, anche perché i progetti che sta realizzando, compreso The Floating Piers, sono stati pensati e immaginati insieme a Jeanne-Claude.

La sua è una dinamica creativa che si nutre di relazione, che ha bisogno di confronto, di condivisione. «Eravamo nati lo stesso giorno (il 13 giugno 1935, ndr), sotto il segno dei Gemelli. Il nostro era un “menage à quatre”», racconta sempre Christo. E quanto alle dinamiche del rapporto aggiunge: «Mi mancano i suoi giudizi molto esigenti. Mi chiedo continuamente: cosa direbbe Jeanne-Claude?». Poi, ricostruendo la genesi del progetto, l’artista ritorna al “noi”, alla prima persona plurale: «L’idea di questo progetto ci era venuta fin dai primi anni ’70: gli schizzi iniziali risalgono a quel periodo. Sì, questa idea ci era rimasta sempre nel cuore».

Il plurale è proprio nel dna dell’arte di Christo. Ce ne si rende conto visitando la mostra bellissima che Brescia, ai Musei di Santa Giulia, ha dedicato a tutti i suoi progetti che hanno a che fare con ambienti d’acqua. Quando si arriva nell’ultima sala, dedicata al cantiere della passerella sul lago d’Iseo, ci si rende conto che un’impresa così non è concepibile se non grazie ad un lavoro di gruppo molto serrato. O meglio dentro una coralità, in cui anche chi cura l’ultimo dettaglio è consapevole e partecipa dell’idea poetica complessiva.

In quella sala si scopre che l’invenzione di Christo c’entra con la perfezione con cui sono cucite le asole che terranno il tessuto giallo legato ai cubi di politilene; che le ancore da cinque tonnellate sono state progettate per garantire che la passerella rispetti perfettamente il tracciato, che equivale poi al «disegno» fatto sulle acque del lago (Christo parla di una «geometria»). In mostra si vedono tutti questi elementi collaterali, che non sono presentati come curiosità ma come dettagli dell’opera d’arte complessiva. E quindi oggetti artistici a tutti gli effetti anche loro. Il «noi» di Christo coincide infatti con la grande squadra affiatatissima di tecnici, ingegneri, organizzatori, semplici operai, sub in grado di immergersi nelle profondità del lago. Tutte persone che lavorano a trasformare l’idea in fatto visibile, o meglio, «tattile» come sottolinea sempre l’artista.

Dal canto suo Christo osserva, suggerisce, ispira, controlla, con un entusiasmo e un’agilità molto giovanile a dispetto dei suoi quasi 81 anni. Vedendolo all’opera mentre scruta la creazione che avanza, mentre con slancio prova la tenuta della passerella oppure mentre alza lo sguardo ad abbracciare tutto il paesaggio che si prepara a trasfigurare, viene da paragonarlo a uno di quegli architetti che nel medioevo costruivano le cattedrali. Anche loro per creare avevano bisogno di una grande squadra, che non solo fosse tecnicamente preparata ma che facesse propria l’intuizione che stava alla base di quell’edificio in cantiere. Anche loro con la loro visione «destabilizzavano» il contesto, creando qualcosa di mai visto e forse di mai immaginato. Anche per loro la potenza di intuizione non implicava un diretto impegno manuale: erano i registi dell’opera.

C’è infine un ultimo «noi» nella chimica creativa di Christo. Ed è quello del pubblico, che l’artista non concepisce solo come spettatore o destinatario dell’opera, ma come parte integrante dell’opera stessa. È un «noi» a cui Christo guarda con grande simpatia, tanto da offrirgli questa straordinaria esperienza a titolo assolutamente gratuito: non solo non si paga il biglietto, ma l’opera è realizzata tutta a spese dell’artista (grazie a un modello economico studiato anche da Harvard), e quindi senza neanche gravare sui conti pubblici. The Floating Piers infatti esiste solo per essere goduta. Goduta innanzitutto con gli occhi, perché il suo tracciato è come un disegno realizzato sull’acqua e sul paesaggio; goduta con gli occhi anche perché la scia gialla è come un raggio di sole che si sia depositato sulla superficie del lago, proprio nei giorni del solstizio d’estate. Ma la passerella è stata immaginata soprattutto per essere vissuta, anzi, «camminata». Magari a piedi nudi, come suggerisce l’artista, per liberarsi da un’altra intercapedine tra sé e il lago, seguendo il rollio delicato delle acque e abbandonandosi a una sensazione di infantile stupore.

L’opera di Christo è poi un’opera a tempo. Dopo 16 giorni verrà smontata e il paesaggio preso in prestito verrà restituito. In questa scelta c’è una dimensione di rispetto connaturata all’arte di Christo, che non è mai prevaricante anche quando si concede le performance più spettacolari, come i celebri impacchettamenti. Ma se l’opera fisicamente sparisce, lascia una scia profonda nella memoria di chi l’ha vista o vissuta. Quasi una dimensione di struggimento, che sempre la bellezza porta con sé.

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