Delitto di Luzzana, si torna in aula

La Cassazione annulla in parte l’ultima sentenza: Bordogna rischia una pena più alta

Ferdinando Bordogna è colpevole di omicidio, ma la sua vicenda giudiziaria resta ancora aperta. L’operaio di Trescore che nel 2000 uccise la cognata, incinta di otto mesi, tornerà in aula e i giudici dovranno decidere se confermare i 18 anni di reclusione inflitti a Milano oppure inasprire la pena. A fare la differenza sarà la valutazione delle circostanze aggravanti del delitto, che la Cassazione ha stabilito debbano essere riconsiderate, dando ragione all’accusa. Un particolare non di poco conto: un conteggio delle aggravanti diverso da quello fatto fino a questo momento potrebbe far aumentare il numero degli anni di reclusione, portandoli fino a un massimo di 30.

Ecco che cosa ha stabilito la Suprema corte con il pronunciamento depositato ieri: conferma dell’ultima sentenza pronunciata a carico di Bordogna dalla Corte d’assise d’appello di Milano (18 anni) ad eccezione di una parte, quella relativa all’esclusione di un’aggravante, la cosiddetta «minorata difesa».

Per capire meglio la decisione della Cassazione è necessario ripercorrere l’iter dei singoli processi affrontati da Bordogna, alla luce delle circostanze aggravanti che pesavano sull’imputazione di omicidio e che hanno poi inciso sulle variazioni di pena. In primo grado l’operaio di Trescore – oggi quarantenne – fu condannato all’ergastolo in rito abbreviato: l’accusa era quella di aver ucciso Bianca Maria Forini, quarant’anni, accoltellandola nella sua abitazione di Luzzana. La donna, all’ottavo mese di gravidanza, era la sorella di Monica, fidanzata con l’operaio (i familiari della vittima sono parte civile con gli avvocati Paride Berselli e Giovanni Fedeli).

Tre le aggravanti contestate: i «futili motivi» (Bordogna confessò di aver assassinato la futura cognata perché lei, venuta a conoscenza del suo passato di pornoattore, gli aveva intimato di lasciare la sorella); la «minorata difesa» (il fatto che la vittima non fosse nelle migliori condizioni per difendersi, dal momento che era sola in casa di sera e per di più era incinta di otto mesi); infine «l’abuso di ospitalità» (la donna fece entrare l’operaio in casa, offrendogli anche da bere).

In Appello a Brescia caddero i «futili motivi», l’aggravante da ergastolo, e la pena fu ridotta a vent’anni. Primo ricorso in Cassazione da parte della difesa, che annullò la sentenza di Brescia per una serie di vizi formali e spedì Bordogna davanti alla Corte d’assise d’appello di Milano. I giudici del capoluogo lombardo eliminarono un’altra aggravante (la «minorata difesa») e, con un conteggio diverso di pena, fecero scendere a 18 gli anni di reclusione.

Nuovo ricorso in Cassazione sia da parte della difesa, l’avvocato Roberto Bruni, sia da parte della Procura generale di Milano. Il legale mirava almeno a cancellare anche l’ultima aggravante («l’abuso di ospitalità»), l’accusa a far rientrare quella esclusa a Milano (la «minorata difesa»). La Suprema corte ha dato ragione alla Procura e ora la posizione di Bordogna – la cui colpevolezza è confermata in maniera definitiva – dovrà essere rivalutata da un’altra sezione della Corte d’assise d’appello di Milano alla luce delle indicazioni della Cassazione: un bilanciamento diverso tra attenuanti e aggravanti potrebbe inasprire la pena. In caso contrario, verranno confermati i 18 anni.

(26/02/2005)

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