Il caso Ganzer in Cassazione
Udienza fissata per il 14 gennaio

Dopo alcuni rinvii, è stata fissata in Cassazione, per il prossimo 14 gennaio 2016, l’udienza del processo su presunte irregolarità nelle operazioni antidroga di un gruppo di ufficiali e sottufficiali dei carabinieri del Ros di Bergamo e Roma.

Ros guidato - all’epoca dei fatti contestati, tra il 1991 e il 1997 - da Giampaolo Ganzer, l’ufficiale congedatosi nel 2012 con il grado di generale e sempre rimasto a capo del Raggruppamento operativo speciale anche nel periodo dell’inchiesta e delle condanne. In secondo grado, la pena di Ganzer è stata ridotta da 14 anni a quattro anni e 11 mesi di reclusione dalla Corte di Appello di Milano, con verdetto del 13 dicembre 2013, in quanto i giudici gli hanno riconosciuto le circostanze attenuanti anche in considerazione della lunga vicenda giudiziaria che con il suo procedere lento, circa 160 udienze, ha già avuto un effetto «punitivo» considerando anche il ruolo istituzionale di Ganzer.

In primo grado, l’ufficiale era stato condannato a 14 anni dal Tribunale di Milano, il 13 luglio 2010. A quanto si è appreso, il processo si prescrive nel 2017 e, in caso di annullamento da parte della Quinta sezione della Suprema Corte, davanti alla quale è fissata l’udienza di gennaio, difficilmente un processo d’appello bis potrebbe celebrarsi nella sua interezza. In base alle accuse, Ganzer sarebbe stato alla guida di un gruppo di militari che, quasi venti anni fa - data degli ultimi reati - avrebbe condotto una serie di operazioni «sporche», come ritardare arresti o allestire raffinerie di eroina, violando le norme che disciplinano i blitz sotto copertura solo per vantare brillanti successi, trarne visibilità e avanzamenti di carriera. «I fatti sono stati posti in essere - si legge nel verdetto d’appello - a decorrere da un periodo (anno 1991) in cui da poco vi era stata sia la costituzione del Raggruppamento Speciale che l’entrata in vigore della disciplina delle operazioni sotto copertura, per cui certamente era avvertita l’esigenza, da un lato, di trovare delle modalità e dei percorsi di “auto-legittimazione” del corpo speciale e, dall’altro, di farlo utilizzando le prerogative accordate dalle nuove norme».

«È certo che i militari del nucleo di Bergamo con il concorso dei colleghi della sede centrale, nel perseguire le predette finalità - prosegue la sentenza - abbiano ecceduto, ma appare, considerate anche le energie profuse e i pericoli corsi, che abbiano agito, piuttosto che per puro carrierismo o forse anche per un ritorno economico», per una sorta di “fuoco sacro”. Con ogni probabilità, si legge ancora, i militari «comunque hanno ritenuto, pur nella consapevolezza di forzare la norma e di cadere nell’illegalità, di poter effettivamente ottenere effetti positivi in termini di prevenzione dei reati, ovviamente però in un’ottica distorta giacché, a fronte del risultato di aver assicurato alla giustizia soggetti di più o meno rilevante spessore criminale, operanti sul mercato della droga, hanno consentito allo stesso tempo ad altri criminali, forse maggiormente pericolosi, di conseguire il loro profitto illecito». A gennaio si vedrà cosa ne sarà di questo verdetto.

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