«Nella corsa, come nei sogni
voglio volare lontano dal cancro»

«Correre è un po’ come volare». Si intitola così il libro di Marco Olmo e Carlo ci piange su questa frase. Un pianto liberatorio, che piangi con lui tanto è vero.

Poche parole che hanno dentro tutto: il sogno, la competizione, il sentire l’aria sulla faccia, che è «ruvida e bellissima, che ti colpisce perfetta». «Ho corso una vita - dice -, ho smesso, poi ho ripreso e vinto gare che non avrei mai immaginato di correre e poi, quando ero vicino a nuovi traguardi, mi ha fermato la malattia».

Lo spiega così il cancro, asciutto e sincero: operaio in un’officina meccanica il tempo l’ha sempre avuto per correre, e ha sempre gareggiato tanto che nel 2000 ha anche fondato il gruppo sportivo del suo paese, Torre de’ Roveri, vicepresidente dell’associazione che non ha mai perso di vista. Anche quando si è fermato: la famiglia, quei due figli meravigliosi da crescere. «Poi loro sono diventati grandi e io sono ripartito, da un giorno all’altro, perché volevo dedicarmi un po’ a me stesso e all’amata corsa, in mezzo ai vigneti di Torre e ai boschi vicini: c’era anche la maratona di New York tra i miei sogni, ma poi mi sono prefissato altre sfide, iscritto alle gare ufficiali delle categorie Master della Fidal. Anni di duri allenamenti, con la soddisfazione di raggiungere una finale europea e una mondiale (2 sesti posti) e vincere 4 titoli di campione italiano». Con la sensazione e la gioia di vivere una seconda giovinezza, «capace di far fatica e arrivare a quel traguardo così difficile, ma bellissimo» spiega.

Poi tutto si blocca bruscamente: «Lo scorso marzo ho scoperto di avere un carcinoma prostatico con metastasi ossee inoperabili, e la corsa si è fermata: il traguardo era un altro, quello delle terapie, dei controlli per far regredire un male che ti stravolge e fa paura, ti strema ma ti dà anche una forza incredibile per risollevarti». E Carlo lo dice tutto d’un fiato: «Mi sentivo come uno yogurt con una data di scadenza: leggi le statistiche e sei sempre in quella percentuale più complicata, la più faticosa».

Ma forse è proprio la corsa, che faticosa lo è, a rendere Carlo tenace, anche quando correre non si può, «perché il corpo cede – racconta -. Ma la grinta è quella del traguardo che vedi vicino e che voi raggiungere con l’aria che ti punge la faccia». Perché si va veloce, nella corsa come nei sogni: «Non ho cancellato nessun progetto, anche quello di New York dove ci saranno runner che corrono proprio con il mio stesso sogno». E allora Carlo ricorda i tempi in pista, quando si allenava con Marta Milani o alla staffetta del 2007 ai Campionati mondiali di Rimini, con la medaglia di bronzo al collo, le lacrime di commozione e una maglia nazionale «che mi ha reso orgoglioso di me stesso».

E aggiunge: «Lo sono anche adesso quando cerco comunque di raggiungere obiettivi più vicini, ma senza mai smettere di cercare il traguardo lontano». E proprio ora le scarpe da corsa ha provato a calzarle di nuovo. Anche se i piedi fanno male, anche se i medici chiedono cautela: «Ma l’ultima Tac è andata bene, e il dottor Giovanni Luca Ceresoli di Gavazzeni, che mi segue da sempre, pare moderatamente soddisfatto. E poi a me la voglia di correre non mi è mai andata via».

Gli fanno male queste ossa malate, queste mani da tenere tese nello scatto, questi piedi che devono dare lo slancio: «Ma io vorrei così tanto indossare un’altra volta le scarpette chiodate e partecipare ai Campionati italiani». Riunire tutti quegli amici di anni di allenamenti, di abbracci sudati e scherzi davanti a un cronometro da fermare il prima possibile. «Sentire le mani gelate nelle corse di gennaio, il caldo di luglio quando gli allenamenti sono una follia, e chiedersi sempre e comunque chi te lo fa fare, anche se alla fine torni su quella pista».

Carlo lo sa che c’è sogno e sogno: «Ma la speranza è come la corsa, è una lotta contro il tempo per determinare la tua forza». Di forza ne ha tanta, anche quando sua moglie Miriam si arrabbia perché lui, sulla malattia, ci ironizza: «Io lo so che posso vincere questa gara, combatto e assaporo gli obiettivi, sconfiggendo i limiti. Con il cancro cambiano le priorità, inevitabilmente: e forse questo è stato un bene, perché assapori pezzi di vita a cui non si dà peso». Carlo è tornato a corricchiare per il suo 55° compleanno, nei vigneti: «Finchè c’è quest’aria sulla faccia sentirò la vita che sconfigge ogni paura». 

Fabiana Tinaglia

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