Ragno, c’è omertà in Val Cavallina?
La requisitoria del pm fa discutere

Clima omertoso. Pesante l’accusa contro la Val Cavallina quella emessa da chi ha indagato e alla fine inchiodato il Ragno di Monasterolo.

Nell’ultima requisitoria prima della sentenza di mercoledì 8 aprile, la pm Maria Cristina Rota che ha coordinato le indagini ha nemmeno tanto velatamente lasciato intendere che non è stato facile anche perché la valle non ha collaborato. Anzi. L’esempio raccontato in aula, quello dei carabinieri che hanno dovuto cambiare sponda del lago, «nascondendosi» tra Ranzanico e Spinone per osservare con un potente cannocchiale noleggiato dalla Marina militare i movimenti di Giambattista Zambetti di stanza al Legnèr di Monasterolo, dove c’è una vecchia proprietà di famiglia usata - anche - come base d’azione. Perché? «Perché - queste le parole del pubblico ministero - se si fossero avvicinati, qualcuno avrebbe senz’altro avvertito l’imputato». Parole pesanti.

La Val Cavallina come una ragnatela in cui il Ragno scorrazzava libero e protetto come un boss della mafia siciliana? «Un clima omertoso evidentemente esplicito io non l’ho mai recepito. Anche perché mi par di capire che l’alta Val Cavallina è il luogo di vita e non di attività di questa gente». Parole di Paolo Meli, assessore alle Politiche sociali di Monasterolo e presidente dell’Assemblea dei sindaci di zona

Di «clan familiari» parla il professor Mario Suardi, storico della Valle, direttore del Museo Cavellas di Casazza: «È un territorio molto sui generis, chiuso, arroccato in paesi e piccole comunità che ancora faticano a comunicare tra loro. Gente che va e viene, dunque, che un giorno c’è e l’altro no, quindi le comunità si stringono per fare “muro” contro lo “straniero”».

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