Tanzania: qui batte il cuore di Bergamo

SESRIEM (NAMIBIA) - Puntata monografica sulla creatura di padre Fulgenzio Cortesi, missionario passionista di Castel Rozzone, che in cinque anni, con l’aiuto di numerosi benefattori e volontari, ha acceso in Tanzania una luce di speranza alle porte di Mbweni, poverissimo paesino di pescatori alla periferia di Dar Es Salaam e a due passi dall’Oceano Indiano, costruendo il «Villaggio della Gioia», casa per orfani che si sta sempre più ingrandendo diventando quasi autosufficiente e che a gennaio diventerà pure scuola.

Padre Fulgenzio, soprannominato affettuosamente «Baba» (papà nella lingua swahili), è un uomo di 69 anni, minato dalla malattia e apparentemente fragile, ma sostenuto da un’incredibile vitalità che non può non venire da lassù. Per lui nulla è impossibile: soltanto tre anni fa la prima pietra, ora «Kijiji cha Furaha» è una splendida realtà di 360.0000 metri quadrati, due terzi dei quali ancora da edificare.


Tanto verde, una chiesa, un ostello, le prime due case-famiglia abitate da 18 bambini, il blocco scolastico, una mini-fattoria con orto, frutteto e allevamento, un campo da calcio, uno da pallavolo e un parco giochi, la casa delle suore, appartamenti di servizio, magazzini, una riserva d’acqua di 80.000 litri e un generatore d’energia elettrica per le emergenze. E, proprio quando ero là, è finalmente arrivato, dopo settimane di attesa, il container con il materiale refrattario per ultimare una pizzeria e un panificio (nella fotografia qui sotto).


Il movimento nato dall’onda di padre Fulgenzio sostiene già 538 giovani con adozioni a distanza, ma urge ancora sostegno e solidarietà considerato che nel 2006 ci saranno in più 60 scolari delle primarie e che i bambini nelle case-famiglia dovrebbero diventare 48. E nel futuro non immediato sono già disegnate scuole professionali e nuove case-famiglia, gestite magari da genitori tanzaniani che non possono avere figli.

Non conoscevo bene la storia di padre Fulgenzio, missionario e giornalista. L’ho scoperta quasi per caso qualche giorno prima della partenza decidendo che le avrei dedicato una tappa. Avevo soltanto l’indirizzo. Come ho raccontato nella precedente email, la prima sera c’è stato soltanto un timido approccio. Una mezza cena e la sveglia all’alba per non perdere il traghetto da Dar Es Salaam per Zanzibar. Rientrati dall’isola e accompagnato all’aeroporto Marco, confermatosi un compagno di viaggio prezioso, un vero amico, ho potuto vivere l’atmosfera del «Villaggio della Gioia» per sei giorni.

Insieme a numerosi volontari e visitatori bergamaschi (se ne alternano una cinquantina durante l’estate): ho conosciuto abbastanza bene Giovanna, 31 anni di Tavernola, laureata in scienze politiche (nella fotografia qui a sinistra).

Poi Manuel, stuccatore di 28 anni di Costa diMezzate, (qui a destra) in Tanzania con la fidanzata Marta, una studentessa universitaria bellunese di 23 anni.

E ancora Mauro, 29 anni di Villa d’Almè, attivo in una cooperativa sociale (a sinistra mentre è al lavoro).

Roberta invece, 18 anni di Treviglio (qui sotto), è attesadall’ultimo anno di liceo. Poi Giulia, 23 anni di Treviglio, studentessa universitaria.

Con don Leone Lussana, parroco di Torre Boldone, c’erano undici persone, giovani e meno giovani, di Torre Boldone, Bratto, Castione, Dalmine e Bonate Sotto che hanno promesso il finanziamento di una riserva d’acqua di 200.000 litri per le scuole. I volontari pagano 16 euro per vitto e alloggio all’ostello e lavorano, fraternizzano, imparano a conoscere la realtà africana e, inevitabilmente, finiscono per amarla perdutamente. Giovanna, che ora sta frequentando a Bergamo il master in "Diritti dell’uomo ed etica della cooperazione internazionale" alla facoltà di lettere e filosofia dell’università, era la cuoca e un po’ il braccio destro del «Baba», Manuel si è dedicato principalmente alla costruzione del panificio, Mauro era il pittore-artista della compagnia, Marta, Roberta e Giulia hanno aiutato in cucina, nell’orto, in giardino, in sala di pittura, dov’era utile. Io ho dato il mio modestissimo contributo, più che altro usando il fuoristrada per commissioni varie.

I bergamaschi che hanno preferito la missione al puro divertimento estivo pagando per lavorare non sono persone strane, sono semplicemente persone che, come me, stanno sentendo l’esigenza di cambiare un po’ la loro vita, per arricchirla dando una mano al prossimo in una dimensione affascinante, non ripudiando il mondo occidentale, ma allontanandosi dal suo straripante consumismo, dal culto del denaro e dell’immagine, da schemi scontati.

Sveglia verso le 7, colazione, lavoro, pranzo, ripresa del lavoro, partita a calcio (dopo unbruciante 0-2 con la bellunese, schierata tra i tanzaniani, che ha parato l’impossibile, ho pensato di appendere le scarpette bullonate al chiodo), doccia, cena e serata consumata tra chiacchiere, sfide a carte, film in videocassetta o libri.

Appena fuori dalla missione c’è un pub con il pavimento in sabbia e musica rap americana a tutto volume dove abbiamo tirato una volta mezzanotte. A meno di due chilometri c’è invece l’Oceano Indiano: ci siamo stati diverse volte percorrendo a piedi un sentierino.


Immaginatevi l’Oceano il più selvaggio possibile, nel senso che non c’è nulla che non sia natura: soltanto sabbia bianca e mare. Per il gioco delle maree, talvolta l’Oceano si ritira anche di un chilometro ed è uno spasso scovare bellissime conchiglie tra la sabbia ondulata.


Il mare, il cielo e la spiaggia sono un paradiso da fotografare. Una domenica abbiamo puntato su Dar Es Salaam, città abbastanza pittoresca e dal sapore orientale, con diversi caffè e ristoranti in riva al mare, a caccia di souvenir.


Le chicche tanzaniane sono i tintatinga (abbiamo visitato una cooperativa di artisti, qui sopra), ovvero dipinti che hanno quasi sempre come tema il mondo animale e sono realizzati con smalti non diluiti per dare l’effetto lucido, e le bizzarre sculture makonde scavate nel legno di ebano come l’albero della vita con figure umane e animali che si danno reciproco sostegno. Un souvenir originale me l’ha confezionato anche Silvia, la moglie del custode, esperta sarta: io ho disegnato il modello di una camicia e scelto il colore della stoffa in cotone e lei l’ha realizzato.

Uno dei momenti più belli della giornata era quando i bambini di Mbweni si catapultavano nel doposcuola al Villaggio per avere un pallone con cui giocare equalche biscotto. Il dialogo era inevitabilmente minimo, ma c’era tanto calore.

Più complesso il discorso con i bambini delle case-famiglie, protetti dalle suore con una legge della privacy applicata con rigore.

È stato uno spettacolo emozionante assistere a una messa alla domenica. Sbalorditiva la partecipazione di giovani, vecchi e bambini, qualche ricco e molti poveri: canti, musica e sincero sentimento, si avvertiva palpabile il desiderio di condividere gioiosamente la fede senza scrutare l’orologio.

L’appuntamento di prestigio è stato invece il pranzo con una rappresentanza di italiani di Dar Es Salaam valorizzato dalla presenza dell’ambasciatore d’Italia in Tanzania, il senese Marcello Griccioli (qui a lato con padre Fulgenzio Cortesi), che al «Villaggio della Gioia» ha lodato l’opera di padre Fulgenzio (definito «un pazzo che sta lavorando in modo ciclopico») e dei volontari. Giovanna si è superata nella preparazione dei manicaretti e tutti hanno dato una mano per realizzare una scenografia sobria ma accattivante. Griccioli e padre Fulgenzio sono amici.

C’è una curiosità interessante da raccontare. Le ambasciate hanno in dotazione ogni anno cibo sufficiente per un mese da dare ai cittadini italiani in casi di emergenza. Se non utilizzate, ed è quasi sempre così, le scorte sono da eliminare per legge alla conclusione dell’anno, anche se non sono ancora scadute; ma Griccioli, con uno strappo alla regola, le dona a padre Fulgenzio.


L’ambasciatore (sopra al centro nella foto di gruppo) è una persona simpatica e molto alla mano. Mi ha domandato che impressione avessi avuto dell’Africa e, quando ho risposto che non avevo ancora visto un’Africa selvaggia, mi ha invitato ad andare sulle tracce di quel ricercatore italiano che è a sua volta sulle tracce di un rarissimo gorilla. Beh, forse non era il caso, ad attendermi c’era lo Zambia, antipasto dello Zimbabwe.

(20/10/2005)

Marco Sanfilippo

© RIPRODUZIONE RISERVATA