Verso un nuovo Dcpm, oggi un incontro
Stop calcetto e feste private nelle ipotesi

Domenica 11 ottobre l’incontro tra il ministro della Salute e il Comitato scientifico. Dalla movida ai trasporti, i provvedimenti ipotizzati nel decreto in arrivo.

I contagi da Coronavirus in Italia continuano a salire, e il governo non esclude di anticipare già a lunedì 12 ottobre il decreto con le nuove misure restrittive, a partire da quelle antimovida, ritenute indispensabili per evitare che la situazione finisca fuori controllo. Proprio il nodo della movida e della convivialità da contenere, a quanto si apprende da fonti dell’esecutivo, è stato al centro della riunione dei capidelegazione e del premier Giuseppe Conte tenutasi nel pomeriggio di sabato 10 ottobre. E si è discusso anche dell’idea di chiudere i locali alle 24 (venerdì si ragionava alle 23), orario che non avrebbe ripercussioni negative sui ristoranti, dello stop alle feste private, anche in casa, e della sospensione degli sport amatoriali di contatto, come il calcetto.

Alla riunione è inoltre emersa l’ipotesi, come detto, di anticipare il varo del decreto a lunedì sera ma – spiegano le stesse fonti – essendo i tempi molto stretti non si può escludere che la nuova stretta venga messa in campo, come previsto, nella serata di mercoledì.

In ogni caso nella giornata di domenica i ministri coinvolti dalle nuove misure – che includeranno anche una rimodulazione dello smart working – lavoreranno sulla messa a punto dei provvedimenti. Centrale, in questo senso, è la riunione convocata d’urgenza per oggi nel primo pomeriggio del Comitato tecnico scientifico (Cts) con il ministro della Salute Roberto Speranza. È proprio in questo contesto che si discuterà delle nuove misure da varare. E, a parte (per ora) il lockdown totale, nessun provvedimento viene escluso a priori, visto l’aggravarsi della situazione. Dal coprifuoco per i locali al divieto di vendita di alcolici dopo una certa ora, alla sosta off limits in piedi fuori dagli stessi bar e pub; dall’estensione del lavoro a casa alla riduzione della percentuale di passeggeri sui mezzi pubblici, allo stop agli spostamenti tra regioni, tutto è in teoria possibile.

«Bisogna avere la forza di prendere in carico questa fase nuova immediatamente – dice Speranza –. Abbiamo un piccolo vantaggio rispetto ad altri Paesi ma non ci si devono fare illusioni e se siamo veloci a capire che c’è un cambio di fase possiamo evitare misure più drastiche». Insomma, rigore ora per non dover chiudere tutto di nuovo, come ha detto il premier Giuseppe Conte alcuni giorni fa. E quindi oggi con gli esperti del Cts si valuterà cosa chiudere a partire dal 15 ottobre, data di scadenza dell’ultimo decreto, attualmente in vigore.

In Sardegna la Regione ha deciso di aprire i palazzetti dello sport fino a 700 persone (misure analoghe sono state già adottate anche altrove), ma nel nuovo decreto potrebbe tornare la soglia non superabile dei duecento spettatori. Altra questione topica i trasporti pubblici: l’80% della capienza, molto superiore a quanto indicato dal Cts, potrebbe essere ridimensionata come soglia. La situazione sembra sfuggire di mano, con una crescita dei contagi non esponenziale, ma costante e per ora inarrestabile. Si pensa, con preoccupazione, alla saturazione delle strutture sanitarie.

Secondo lo studio strategico per la fase autunnale-invernale, con l’indice di contagiosità Rt superiore a 1,2 – livello già raggiunto in Campania – in due-tre mesi gli ospedali avrebbero un sovraccarico. Considerando che non si è ancora entrati nella fase dell’influenza stagionale, gli esperti auspicano misure efficaci e valide per sei mesi. Anche a questo scopo si valuterà l’impiego dei test rapidi al fianco dei tamponi diagnostici, per tentare di diluire le file di ore in auto che si vanno sempre più formando ai drive in delle grandi città. Intanto il dibattito tra Stato e Regioni non si spegne. Il governatore della Liguria, Giovanni Toti, torna ad ammonire sui rischi per l’economia derivanti da nuove chiusure. «I contagi crescono in tutta Italia ed è giusto pensare a misure – dice –, soprattutto in specifiche aree, per contenerli. Ma c’è un’altra cosa che non cresce: il Pil. Siamo a meno 10%».

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