Papa Giovanni era già malato:
quello del 1962 fu l'ultimo Natale

Il 25 dicembre 1962, cinquant'anni fa, fu l'ultimo Natale di Papa Giovanni. «Come l'anno scorso, Natale piovoso», annota il pontefice nel diario personale, ma è un giorno sereno trascorso «in letizia e in buona fraternità».

Venticinque dicembre 1962. Cinquant'anni fa l'ultimo Natale di Papa Giovanni. «Come l'anno scorso, Natale piovoso», annota il pontefice nel diario personale, ma è un giorno sereno trascorso «in letizia e in buona fraternità». Il papa è malato, è inconsapevole di avere un tumore che da lì a meno di sei mesi lo porterà alla morte.

I medici gli hanno riferito che si tratta di «gastropatia». A fine novembre l'aveva colpito una crisi costringendolo a letto. All'Immacolata, estremamente provato in volto, aveva incontrato i Padri conciliari. La sera era tornato a scrivere sul suo diario: «Mi sorresse bene la vigorìa ripresa del corpo e della voce. Nel discorso tutto in latino, la triplice visione: 1) inizio e avviamento del Concilio; 2) la sua continuazione ben decisa da parte dell'episcopato da tutti i punti del mondo in relazione ininterrotta col centro Vaticano sino al 8 sett. 1963; 3) ultimo convegno da questa data sino a Natale 1963».

L'ultimo mese del 1962 è dunque costellato di incertezze e dubbi sulla salute del pontefice, ma è pure tempo di bilanci di un anno che di certo verrà ricordato nei tempi a venire. Nella mente di Papa Roncalli ci sono pensieri costanti: il Concilio, la pace, la vicinanza verso i sofferenti. Si chiude la prima parte del Vaticano II. Grazie soprattutto ai contributi e alla volontà di alcuni cardinali – Suenens, Montini il futuro Paolo VI, Lercaro – l'assemblea è riuscita a far dialogare la Chiesa e il mondo su temi scottanti, come la guerra, l'odio razziale, la fame.

«È un Natale piovoso» ribadisce Roncalli, ma sereno è «l'orizzonte politico e internazionale» che «da qualche giorno» è «assai migliorato nel senso della pace mondiale». Il riferimento è al «rapporto» di Norman Cousins, giornalista, editore e pacifista americano, ma soprattutto protagonista di contatti confidenziali tra Kruscev, Kennedy e il Papa. Il «rapporto» recapitatogli sulla scrivania riguarda l'incontro fra Cousins e Nikita Kruscev del 13 dicembre, dove quest'ultimo riconosceva in modo esplicito il valore dell'intervento di Giovanni XXIII nella crisi dei missili di Cuba, a ottobre, attraverso un radiomessaggio.

«Dalla voci più autorevoli del mondo politico – commenta il pontefice nel diario – sembrerebbe convinzione comune che questo periodo di pubblica pace si debba all'azione del Papa che facendosi sentire in tutto il mondo dove la radio arriva finisce coll'interessare sopra una preoccupazione che tocca il cuore di tutti». Ma Natale è anche tempo di auguri. Che Papa Roncalli riceve proprio da Nikita Kruscev.

È ancora Norman Cousins a far da tramite fra il Cremlino e il Vaticano. Questo il testo del messaggio di Kruscev: «A Sua Santità. Papa Giovanni XXIII. In occasione dei giorni santi di Natale. La prego di accettare gli auguri di un uomo che augura a lei buona salute e forza per i suoi costanti sforzi per la pace e per la felicità e il benessere di tutta l'umanità». Immediata la risposta del Papa: «Vive grazie del cortese messaggio augurale. Lo ricambiamo di cuore con le stesse parole venuteci dall'alto: pace in terra agli uomini di buona volontà».

È Stjepan Schmidt, segretario del cardinale Bea, a recare il messaggio del pontefice all'ambasciata sovietica il 22 dicembre. Cousins nel frattempo torna negli Stati Uniti portando un messaggio papale per Kennedy assieme al dono di un'icona. Lo stesso giorno, Papa Giovanni riceve un «rapporto» sul colloquio con Kruscev, in cui Cousins annota che il leader sovietico riconosce i meriti del Papa e s'impegna a rendere più disponibile la stampa religiosa.

E non a caso, il giorno dopo Natale – «Santo Stefano tranquillo» – Papa Roncalli torna a scrivere sul diario in merito al capo del Cremlino. «Continua nel mio spirito l'interessamento per ciò che il Signore sta misteriosamente preparando. Questo Kroucheff, o Nikita Khruscheff, come lui si firma, non ci prepara forse delle sorprese? Stanotte dopo molto meditare, e dopo d'aver letto l'introduzione alla grammatica della lingua russa di Ettore Lo Gatto, mi sono alzato da letto e inginocchiato innanzi al mio Crocifisso gli ho consacrato la mia vita in estremo sacrificio di tutto me stesso in riferimento a quanto volesse da me per questa grande impresa della conversione della Russia alla Chiesa Cattolica. Ciò ripetei nella santa messa celebrata in questo spirito. A mezzogiorno nella adunanza generale della Sala Clementina misi molto fervore di cuore e di lingua sotto la stessa ispirazione».

E anche in queste righe traspare evidente la preoccupazione di Giovanni XXIII che ha contrassegnato tutta la sua vita, o meglio la sua speranza in un mondo nuovo. Lo aveva già ribadito nel discorso del suo primo Natale (23 dicembre 1958): «Natale del Signore: annuncio di unità e di pace su tutta la terra; impegno rinnovato di buona volontà messa a servizio dell'ordine, della giustizia, della fraternità presso tutte le genti cristiane insieme accorrenti in un comune desiderio di comprensione, di grande rispetto delle sacre libertà della vita collettiva nel triplice ordine religioso, civile e sociale. Tempo di Natale: tempo di buone opere e di intensa carità. Il Natale deve segnare il massimo del fervore religioso e pacifico per questa effusione di unità e di carità verso i fratelli bisognosi: gli ammalati, i piccoli, i sofferenti di ogni specie e di ogni nome. Sia esso un Natale costruttivo».

Parole che tornano nelle lettere e nei messaggi scritti ai familiari e agli amici, da vescovo e da cardinale, dal gelo di Sofia al Natale nevoso di Istanbul, fino ad arrivare alla più accogliente nunziatura di Parigi. Parole incoraggianti alle famiglie Roncalli a rimanere unite. Perché, come recita la lettera alla famiglia da Sofia il 20 dicembre 1932: «Il Natale è la festa più lieta per le famiglie che hanno molti bambini come la nostra. Nei visi innocenti di queste creature si riflette meglio la faccia del Bambino. È appunto in vista di questi cari piccoli che noi dobbiamo essere buoni, esemplari e amorevoli».

Parole semplici, ma che sono pillole di saggezza, insegnamenti da padre di famiglia. Da uomo prima ancora che da vescovo o papa. Quell'uomo che lo stesso dicembre 1962 il settimanale americano Time mise in prima pagina come «Uomo dell'anno», motivando così la scelta: «Papa Giovanni ha dato al mondo ciò che non potevano dargli né la diplomazia, né la scienza: un senso dell'unità della famiglia umana».

Emanuele Roncalli

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