Catalexit, i benefici
non sono scontati

È difficile capire, in queste ore, se la svolta drammatica impressa dal Governo centrale di Madrid alla lunghissima polemica con la Catalogna, con gli arresti e le perquisizioni tesi a impedire il referendum popolare del 1° ottobre, finirà per stroncare le ambizioni indipendentiste della regione ribelle o, al contrario, otterrà solo di rinforzarle e accelerarle. Non bisogna dimenticare, infatti, che le imponenti manifestazioni di piazza dei catalani pro-indipendenza nascondono una realtà assai più sfumata.

Il più recente sondaggio sul tema, svolto alla fine di luglio, mostrava che il 49,4% dei catalani era contrario all’indipendenza mentre il 41,1% la sosteneva, con un 9,5% di indecisi. E nel novembre 2014, quando si andò effettivamente alle urne per un referendum analogo a quello così contrastato di quest’anno, l’80% delle schede portava il «sì» all’indipendenza. Ma i votanti furono solo il 37% degli aventi diritto, a causa dell’efficace boicottaggio del voto da parte dei sostenitori del «no».

Resta quindi da capire se il premier spagnolo Mariano Rajoy abbia deciso di mandare la Guardia Civil nei palazzi del Governo regionale catalano perché sicuro di vincere oppure timoroso di perdere. Al di là però dell’attuale accelerazione, resta la sensazione che quella tanto minacciata sia in realtà una Catalexit. Ovvero: l’Europa ha avuto la Brexit, la Spagna potrebbe avere la fuga della Catalogna.

Ad autorizzare il paragone c’è il confine sottile tra consenso e dissenso, e la lunga serie di ragioni storiche e ideali che i popoli non fanno mai fatica a rintracciare quando decidono di non andare più d’accordo. Nel caso dei catalani, il forte senso di autonomia e identità nazionale che cominciò a svilupparsi nell’epoca carolingia e che fu soffocato, nel 1714, dalla vittoria nelle guerre di successione spagnola di Filippo IV, che entro il 1716 si sbrigò a promulgare i Decretos de Nueva Planta con cui venivano abolite le autonomie locali e imposto il castigliano come lingua ufficiale.

Resta però il fatto che dal 2003 la Catalogna è governata da coalizioni di partiti che hanno fatto dell’indipendenza la loro bandiera e che la passione separatista è andata crescendo in rispondenza a precisi fattori economici. I catalani sono convinti (o sono stati convinti) che recidere il legame con il centro avrà due conseguenze: pagare meno tasse a «Madrid ladrona» e godere di maggior benessere. Gli inglesi avevano Bruxelles nel mirino ma pensavano la stessa cosa. È l’idea fissa di chi sta meglio degli altri. Gli inglesi, all’epoca in cui votarono la Brexit, godevano dell’economia più dinamica e prospera della Ue. E la Catalogna, con solo il 16% della popolazione, produce quasi il 25% di tutte le esportazioni di Spagna e detiene circa il 23% del potenziale industriale del Paese.

Perché non tenersi tutto e fare da soli? La risposta non è molto complicata: perché governare non è produrre. L’ambizione autonomista è rapidamente cresciuta dopo il deflagrare della crisi economica mondiale del 2008, e non per caso. Come tutti gli spagnoli, anche i catalani arrivavano dal più lungo periodo di espansione economica (1994-2008) della storia moderna del Paese e di colpo si sono ritrovati nel più lungo periodo di recessione. Stante la struttura federale dello Stato spagnolo, le regioni erano state le prime a beneficiare del boom grazie alle tasse locali ma sono state poi le prime a soffrire della crisi, che ha imposto ovunque tagli drammatici alla spesa pubblica. I Governi catalani sono stati meno bravi o meno severi degli altri, così il livello di indebitamento della Catalogna è rimasto di circa il 50% più alto del livello medio di indebitamento delle altre regioni autonome.

La risposta più facile al rebus economico è stato promuovere l’indipendenza e l’affrancamento da «Madrid ladrona» come la panacea di tutti i mali. E anche in questo si nota la Catalexit. Nessuno davvero sa se il Regno Unito andrà meglio lontano dalla Ue, o viceversa. La stessa cosa accade in Spagna, dove le certezze appartengono solo alle opposte propagande. E l’inasprimento attuale, tutto muscoli e polizia e niente politica, ne è la migliore dimostrazione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA