Scienza e Tecnologia
Lunedì 22 Aprile 2024
A selezionare il caffè arabica è stata la natura, non l’uomo
A selezionare la più diffusa varietà di caffè, l’arabica, è stata l’evoluzione naturale e non l'uomo. E' avvento circa 600mila anni fa, come indica la più dettagliata ricostruzione della storia del caffè risultato della ricerca internazionale online sulla piattaforma biorXiv e in via di publicazione sulla rivista Nature Genetics. La ricerca, basata su avanzate tecniche di analisi genetica, è guidata dalle Università di Buffalo negli Stati Uniti, di Singapore e del Centro ricerche Nestlé.
Il caffè è in assoluto una delle bevande più diffuse del pianeta, si stima che se ne consumino ogni anno all’incirca 10 miliardi di chili, ma la varietà genetica delle tipologie più diffuse, in particolare 'arabica' (che da sola rappresenta il 60% della produzione mondiale) e 'robusta', è piuttosto limitata. Analizzando il genoma di 39 varietà della specie Coffea arabica, tra cui il Dna di una pianta raccolta nel XVIII secolo dal naturalista svedese Carl Linnaeus, i ricercatori hanno ora determinato che la specie arabica si sarebbe sviluppata per la prima volta oltre 600mila anni fa (ben prima delle prime coltivazioni umane) nelle foreste dell’Etiopia attraverso l’accoppiamento naturale tra altre due specie di caffè, e che a causa dei cambiamenti climatici avrebbe avuto periodi alterni di diffusione.
A differenza di altre colture le attuali, le piante di caffè mostrano una scarsa varietà e hanno mantenuto quasi intatte le caratteristiche delle piante più antiche presenti in natura decine di migliaia di anni fa, e attraverso i modelli informatici è stato possibile ricostruire la storia di alcune varietà, come i meccanismi che hanno portato, appena pochi secoli fa alle varietà oggi diffuse in Asia.
Lo studio ha anche messo in luce la bassa diversità genetica esistente tra le piante di Arabica, la cui popolazione effettiva è stimata tra 10 e 50mila individui: una caratteristica che le rende molto vulnerabili alla distruzione con l’eventuale comparsa di nuovi patogeni. Secondo gli autori della ricerca, l’ibridazione con specie più resistenti, come la robusta e altre asiatiche, potrebbe aiutare a aumentare la resistenza a eventuali pericoli.
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