La mia migliore amica si alza tutte le mattine alle cinque per praticare yoga. Io non lo farei nemmeno pagata. Preferisco stare sveglia di sera, leggere o lavorare al pc quando tutti dormono e nessun telefono può squillare. Mio marito fa volentieri la pennichella, le volte che può concedersela. Io non sopporto dormire di giorno; in compenso se non devo guidare sono in grado di addormentarmi appena salita in auto, a qualsiasi ora.
Chi ha ragione? Tutti, nessuno. Quando si tratta di adulti siamo consapevoli che ognuno ha le sue abitudini legate al sonno: ci sono i gufi e le allodole, chi deve dormire 8 o 9 ore e chi sta bene con 5 o 6. Una volta che non si hanno problemi di insonnia e si riesce a riposare, è considerato legittimo fare come si vuole.
Tutti i bambini sono diversi
Questa diversità, nel temperamento e nelle abitudini, è molto più difficilmente concessa ai bambini. Vale per il sonno come per molti altri aspetti della vita. Ho un’amica che era seriamente preoccupata per la salute della sua neonata perché di notte… la bambina ha sempre dormito: 12 ore filate. C’è poi il caso opposto, purtroppo più frequente, di genitori che perdono il senno (oltre che il sonno) perché il neonato si sveglia ogni ora. Anche i bambini più grandi hanno le loro peculiarità: i miei, ad esempio, detestano il riposino dopo pranzo, e dopo i due anni e mezzo ho deciso di non impuntarmi più per farglielo fare. C’è chi alle sette e mezza ha già bisogno di essere a letto, chi invece è un tiratardi. Chi vorrebbe andare nel lettone, ma anche a chi non interessa. Una mia coraggiosa amica ha avuto la terza figlia: le prime due dormivano, l’ultima no. «Fosse stata lei la prima, sarebbe rimasta figlia unica» confessa.
Il problema – per noi adulti che non abbiamo mai visto da vicino altri bambini, prima di diventare genitori – è che non sappiamo esattamente cosa possiamo aspettarci da loro. Il rischio è quello di sbagliare sia per eccesso, ad esempio allarmandoci di fronte a situazioni del tutto normali, sia per difetto, sottovalutando dei problemi.
Guelfi e ghibellini
Non sono un medico, non sono una pediatra, né una pedagogista, né una consulente del sonno. Apprezzo e riconosco le professionalità di ciascuno, ma diffido sempre parecchio dalle figure che, ammantandosi di un’autorità che per i non addetti ai lavori è sempre difficile riconoscere, regalano ai genitori stremati ricette magiche per l’addormentamento.
Ne diffido perché persone ugualmente titolate sono in grado di dare con la stessa sicumera consigli – più che consigli: direttive – di stampo opposto: chi spiega che il bambino va allenato a dormire da solo, a costo di farlo piangere; chi invece assolutamente no perché la cosa può provocare traumi indelebili. Da qui le opposte fazioni, i guelfi e i ghibellini dell’addormentamento: da un lato i fan del co-sleeping, che dormirebbero insieme ai figli pure a dieci anni! Finché il bambino lo desidera – dall’altro quelli della cameretta da soli già a zero mesi.
Noi genitori siamo bombardati da messaggi perentori su cosa sia “giusto” e cosa “sbagliato”, che minano la nostra fiducia e ci fanno sentire inadeguati qualsiasi cosa facciamo. Penso, invece, che il sonno sia uno dei casi in cui il papà e la mamma – con una conoscenza basica della fisiologia del neonato – possano prendere in autonomia le loro decisioni educative, e che facilmente si tratterà di una ragionevole via di mezzo.
Non è che non dormono, è che si svegliano spesso
Cosa sappiamo con certezza del sonno dei neonati e dei bambini? Due gli aspetti essenziali e abbastanza ovvi: hanno bisogno di dormire di più di un adulto e si svegliano con maggiore frequenza. Questo riassunto mi sembra obiettivo ed efficace. Il passaggio chiave è: «I bambini piccoli, il più delle volte, fanno fatica a riaddormentarsi da soli tra un ciclo di sonno e l’altro e quindi richiamano gli adulti per essere consolati! Tutto ciò è assolutamente normale». La virtù da esercitare è la pazienza.
Come non mi stanco mai di ripetere, specie agli allarmisti o a chi ha pretese eccessive: i neonati piangono, i bambini fanno capricci, gli adolescenti sono oppositivi, i cani abbaiano. Può essere faticoso, ma è tutto normale.
Il mito della routine
È abbastanza logico che se un bambino deve dormire più di un adulto andrà a letto prima e che una buona routine faciliti il sonno: pigiama, denti, libro, letto. Funziona sempre? No. Magari il bambino vuole stare sveglio con il papà che non ha visto per tutto il giorno, oppure non ha tanto sonno, ha mal di denti, ha avuto una giornata troppo emozionante o al contrario non si è stancato abbastanza. Oppure è la mamma, che ha finito di lavorare più tardi del solito o ha deciso di rimanere al parco per più tempo, posticipando l’ora della cena e scombussolando gli orari.
Purtroppo le pressioni sui genitori sono tali che anche la routine pre nanna è diventata un dogma, al pari della skin care coreana: un rito che per dare i suoi frutti deve essere scandito da passaggi e orari rigidissimi (spoiler: non è detto che “funzioni”, neanche la “beauty routine”). Ecco quindi genitori che non escono a cena nemmeno per festeggiare il compleanno della nonna novantenne: sia mai che salti la routine della nanna e il piccino alle otto di sera non ha ancora messo il pigiamino con i coniglietti.
Detto ciò: ognuno conosce i suoi figli e decide come gestire la famiglia. A me pare un’esagerazione essere obbligati ad andare a letto alle otto e mezza di sera anche di sabato, anche in vacanza; altri penseranno che sia io una madre degenere vedendo i miei figli di 3 e 6 anni ballare la tribute band di Gianna Nannini alla sagra della salamella alle dieci di una sera di luglio.
Purché funzioni
«Purché dormano» è il mantra che ci siamo ripetuti tutti noi neogenitori nei primi anni di vita. Gente che aveva giurato: «Nel lettone, mai!» si ritrova a combattere per una porzione di materasso, pur di dormire un paio d’ore filate. Sopravvivere è la prima regola, almeno nel primo anno di vita, ma spesso anche dopo. Bisogna però cercare di capire quali paletti vogliamo provare a mettere, fino a che punto ha senso cedere, quali sono le reali esigenze del bambino, quali le nostre debolezze.
Una ricetta univoca non c’è, e se ci fosse non la darei io. Dovremmo però sempre avere in mente un principio generale: il nostro scopo come genitori è condurre il bambino verso l’autonomia, senza affrettare i tempi, ma anche senza renderlo più dipendente di quello che è. Esiste un’età in cui il bambino deve imparare a dormire da solo, nel suo letto. A 6 mesi? A 2 anni? Prima di iniziare la scuola dell’infanzia? Prima di andare alle elementari? Spesso, se si trattiene di più, è segno che sono i genitori a non essere pronti a “lasciarlo andare” e ad avere nostalgia di un neonato. Viceversa, ha senso che i neonati dormano nella stessa stanza dei genitori (meglio non direttamente nel letto, per evitare cadute o schiacciamenti involontari) affinché i loro risvegli siano meno traumatici possibile per tutti: spesso basta una carezza perché sentendo la presenza del genitore si riaddormentino.
Altro principio generale da salvaguardare: la coppia, che viene inevitabilmente messa sotto stress dalla nascita di un bambino. Anche in questo caso, le opzioni sono diversissime: ho amiche che si sono sacrificate tutti i primi mesi per fare dormire il compagno che andava a lavorare; io invece ho preferito mettere la culla dal lato del letto di mio marito per riposare meglio. C’è chi considera il lettone off-limits per i bambini, chi lo condivide volentieri, chi fa i turni per dormire, persino chi paga una babysitter notturna. Valgono tutte le decisioni condivise: l’importante è non alimentare la frustrazione e il risentimento, non mandare il coniuge a dormire sul divano se non ci vuole andare, chiedere e pretendere collaborazione. E salvaguardare il più possibile la propria intimità e la propria privacy.
Infine: siamo gentili con un genitore che non dorme. La privazione del sonno è considerata una tortura: scusiamo i vuoti di memoria, gli sbalzi d’umore, i ritardi, gli appuntamenti saltati. Offriamo un caffè o un paio d’ore da babysitter. Condividiamo i barbatrucchi che con i nostri figli hanno funzionato, ma non giudichiamo se con loro non fanno presa. È una situazione temporanea: prima o poi diventeranno adolescenti, e dovremo essere noi a svegliarli prima di mezzogiorno.