93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

#workinprogress: perché il Servizio Civile Universale è interesse di tutti (imprese private incluse)

Articolo. Il Servizio Civile Universale, avviato nel 2001 in seguito alla sospensione della leva obbligatoria, ha avuto uno sviluppo interessante e inatteso. Era difficile, all’epoca, prevedere la risposta delle giovani generazioni a una proposta del genere

Lettura 5 min.
Un volontario impegnato nel Servizio Civile (Associazione Mosaico)

Chi avrebbe scelto, senza più alcun obbligo normativo, di dedicare un anno della propria vita ad attività di assistenza, utilità sociale o promozione culturale? Forse uno sparuto gruppo di giovani con una forte motivazione etica, politica o religiosa?

I vent’anni successivi ci raccontano una storia diversa. Dalla media nazionale di circa 5000 volontari dei primi anni si è passati ai quasi 50.000 del 2021. In totale, nel ventennio 2001-2021, 523.404 persone tra i 19 e i 29 anni hanno scelto il servizio civile, operando volontariamente per 25 ore a settimana nei servizi alla persona, negli uffici degli enti locali, nelle biblioteche, nei musei, nelle strutture sanitarie, nelle organizzazioni che si occupano di tutelare il patrimonio ambientale, storico, artistico e culturale del nostro paese, nei servizi educativi e scolastici, nella protezione civile, nel soccorso sanitario eccetera.

Il contributo di questi giovani è ormai divenuto una risorsa strutturale, portante, per la rete di servizi appena citati, senza la quale diminuirebbe drasticamente la nostra capacità di rispondere ai bisogni sociali. La maggior parte di noi, negli ultimi mesi, è sicuramente entrata in contatto con qualcuno di loro, perché sono centinaia quelli che operano ogni anno nella sola provincia di Bergamo. Semplicemente non sappiamo riconoscerli. I genitori che accompagnano i figli al nido o alla primaria, gli utenti delle biblioteche comunali e universitarie, i frequentatori del «Bergamo Film Meeting», i visitatori dei musei, i cittadini che si recano negli uffici comunali, difficilmente sanno che in molti casi la ragazza o il ragazzo che li accoglie e si occupa di loro non è un dipendente comunale o di una cooperativa sociale, bensì un operatore volontario del Servizio Civile Universale.

Vi è stato tuttavia un secondo sviluppo inatteso, ancor più difficile da prevedere. In alcune aree del nostro paese — e la Lombardia è una di quelle — il servizio civile è divenuto un canale privilegiato di ingresso nel mondo del lavoro. Non stiamo parlando solo di pubblica amministrazione e di enti non-profit. Anzi, negli ultimi anni sono sempre di più le imprese del settore privato interessate a intercettare questi giovani al termine del servizio civile. Per quanto, a prima vista, possa apparire insolito, le ragioni di questo interesse divengono immediatamente evidenti nel momento in cui mettiamo a fuoco alcuni elementi che caratterizzano il profilo di questi giovani.

Chi sono dunque questi volontari? Questa è una domanda a cui penso di poter rispondere, almeno per quanto riguarda il nostro territorio. E, per una volta, non in virtù delle mie conoscenze scientifiche, bensì di una lunga esperienza diretta, personale. Dal 2006 infatti svolgo attività di tutoraggio e orientamento lavorativo per Associazione Mosaico , un ente di gestione del Servizio Civile Universale e della Leva Civica Lombarda (che altro non è che una sorta di servizio civile regionale) che opera nel settore fin dal primo anno di attuazione. Ho avuto occasione dunque di seguire tantissimi giovani lungo il percorso di servizio civile e soprattutto nella fase finale in cui si affacciano al mondo del lavoro.

La maggior parte di questi volontari si trova in un momento di transizione dalla stagione “formativa” della vita a quella “attiva”. Ha alle spalle poche esperienze lavorative, necessariamente temporanee e frammentarie data la giovane età, e sta concludendo il percorso di studi (tantissimi svolgono il servizio appena prima o subito dopo il conseguimento della laurea). Molti di loro vedono dunque il servizio civile come passaggio intermedio, come occasione per mettersi alla prova e per maturare quel genere di capacità e conoscenze che si possono acquisire solo sul campo.

Chi compie questa scelta si candida per una delle posizioni indicate nel bando annuale, attraversa un processo di selezione e, se viene selezionato, inizia il suo anno di servizio durante il quale partecipa a corsi di formazione generale e specifica (cioè legata al settore che ha scelto), percorsi di tutoraggio e di orientamento lavorativo. Lavora per 25 ore la settimana in cambio di un rimborso di circa 500€ mensili. Non è uno stipendio, dato che si tratta di volontariato, ma un semplice rimborso erogato dallo Stato. È infatti considerato, anche fiscalmente, un “reddito diverso” e non un reddito da lavoro.

L’entità del rimborso rapportata all’attuale costo della vita ci fa capire un elemento chiave del profilo del volontario civile: non vi è una motivazione economica alla base di questa scelta, quantomeno nel nostro territorio dove non mancano opportunità lavorative meglio retribuite anche per chi non ha formazione o esperienza. Coloro che scelgono di svolgere il servizio civile lo fanno perché credono che sia un’esperienza di utilità sociale, da un lato, e di crescita personale e professionale dall’altro. Sono forse illusi o idealisti? Per nulla. I dati sul ritorno occupazionale del servizio civile danno loro ragione, come mostrano i report di Associazione Mosaico, che ogni anno ricontatta, tre mesi dopo la fine del servizio, i volontari dell’anno precedente per scoprire che fine hanno fatto. Si scopre così che circa il 73% di loro ha trovato lavoro. Non solo: il 67,5% delle offerte ricevute propongono soluzioni contrattuali (tempo indeterminato, tempo determinato e apprendistato) che esprimono, da parte dell’offerente, un chiaro interesse a trattenere questa risorsa all’interno della propria organizzazione.

Se si osserva con attenzione il profilo dei volontari, i dati sopracitati non stupiscono. Innanzitutto questi giovani mettono in crisi i pregiudizi diffusi riguardo l’immaturità e l’irresponsabilità delle nuove generazioni. Un ventunenne che lavora come volontario nei servizi alla persona, o all’ufficio tecnico di un comune, non assomiglia per nulla alle caricature stereotipiche della gioventù contemporanea che animano le discussioni giornalistiche o i dibattiti nei programmi televisivi pomeridiani destinati alla fascia più anziana della popolazione.

In secondo luogo le competenze trasversali maturate lungo il servizio sono tutt’altro che secondarie agli occhi di un futuro datore di lavoro. Muoversi per un anno in una organizzazione complessa come quelle dove operano i volontari significa acquisire tante capacità non solo tecniche ma soprattutto organizzative, relazionali. Nessun tirocinio universitario può competere, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, con un’esperienza così intensa e continuativa.

Ma vi è un terzo aspetto di cui solo recentemente, complici le preoccupazioni legate all’inverno demografico e alla crescente scarsità di forza lavoro giovanile, ci si sta accorgendo. Ossia che il Servizio Civile Volontario, come la Leva Civica Lombarda, favorisce nuove forme di radicamento. Soprattutto nelle aree periferiche che sempre meno riescono, nonostante la forte domanda di lavoro, a trattenere i giovani. E ancor meno a far rientrare coloro che si sono trasferiti per frequentare un percorso universitario fuori sede. Al contrario, molti di quelli che decidono di svolgere il servizio civile stabiliscono un nuovo legame con il proprio territorio che riduce significativamente la probabilità che se ne vadano.

Oggi le nuove generazioni partecipano a processi culturali e sociali globali e hanno un rapporto molto debole con la dimensione nazionale, con la cosiddetta «patria». Se maturano un senso di appartenenza e di impegno civile, è più facile che ciò avvenga nell’incontro con la concretezza e la materialità dei problemi che attraversano la realtà sociale a loro più prossima, vale a dire la comunità in cui vivono. Sono ormai vent’anni che, tra università e altre attività, ho un rapporto quotidiano con il variegato mondo giovanile, e devo riconoscere che gli esempi migliori di cittadinanza attiva e partecipata — un’espressione molto utilizzata ma altrettanto vaga — li ho incontrati proprio grazie al lavoro che svolgo nell’ambito del servizio civile.

Insomma, questo segmento della popolazione giovanile rappresenta un bacino prezioso tanto per il tessuto sociale quanto per quello produttivo. È un terreno fertile. Ma che, come ogni terreno, per dare frutti ha bisogno di essere irrigato e coltivato. Se il servizio civile è interesse di tutti, è necessario che tutti gli attori sociali — pubblici e privati — si sforzino per promuoverlo, soprattutto in una fase di decrescita demografica. Come nel caso dell’occupazione femminile di cui abbiamo parlato a luglio, è sempre più indispensabile che le politiche industriali siano accompagnate da quelle sociali, che vengano pensate assieme all’interno di un ragionamento complessivo di investimento di lungo periodo.

Approfondimenti