Genitori tifosi, aiuto!

di Giorgio Gandola
«Abbiamo perso perché non hai passato la palla a mio figlio». Già se lo dicesse la mamma di Balotelli a Kakà ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli dallo sconforto, figuriamoci se a pronunciare una simile frase sono i genitori di un bambino di 12 anni.

di Giorgio Gandola
«Abbiamo perso perché non hai passato la palla a mio figlio». Già se lo dicesse la mamma di Balotelli a Kakà ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli dallo sconforto, figuriamoci se a pronunciare una simile frase condita da epiteti volgari sono i genitori di un bambino di 12 anni scatenati nei confronti di un suo coetaneo e compagno di squadra, che non avrebbe fatto la diagonale durante la Junior Cup a Nardò, Salento.

È successo, anzi succede perché sugli spalti dello sport giovanile abita una categoria umana che talvolta oltrepassa senza accorgersi la porta che conduce nella foresta pietrificata dove l'homo sapiens è estinto: i parenti dei giocatori. Madri cotonate che si improvvisano ultrà all'ultimo stadio, padri invasati che ritengono di avere la stessa scienza calcistica di José Mourinho.

Scene degradanti, da pura vergogna, contro arbitri, avversari e compagni non all'altezza dei propri campioncini già incompresi. Abbiamo visto fischiare bambini di dieci anni mentre tiravano i liberi a basket. Abbiamo sentito urlare «quello ammazzalo», laddove quello era un cucciolo un po' più bravo degli altri nel dribbling in una sfida Esordienti.

Nessuno stupore che a Nardò, dopo quella frase, sia avvenuto un parapiglia, siano dovuti intervenire i carabinieri e i due genitori siano stati denunciati. Lo stupore vero e salvifico è nel continuare a vedere, ogni domenica e su ogni prato, bambini felici inseguire ancora un pallone.

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