Cattive acque

Piove, aprite l’ombrello. Per molti sindaci, amministratori locali, politici di passaggio l’unico compito delle istituzioni potrebbe anche fermarsi qui.

E invece no, perché in alcune zone d’Italia quando piove per due giorni si verifica un’escalation di fatti e di allarmi che somiglia a un copione. Primo giorno: strade allagate. Secondo giorno: attenzione agli argini. Terzo giorno: il fiume straripa (Bisagno, Secchia, Panaro, Trebbia, Seveso, Olona fa lo stesso). Quarto giorno: arriva l’alluvione. A questo punto la calamità potrebbe anche diventare tragedia, e le uniche a mostrarsi imprevedibili potrebbero essere le conseguenze.

Tutto il resto è un film già visto, è la replica dell’eterno documentario dell’Italia del dissesto in cui si susseguono gli allarmi, si indicano i colpevoli del momento, si spendono fiumi di parole (anche questa è un’alluvione, ma almeno innocua), si piangono le vittime. Per poi, al primo raggio di sole, ripartire come prima nel disinteresse più totale per le cause.

Di solito questi fenomeni li porta l’autunno e ciò accade da più di un secolo. Il numero dei morti è impressionante: 2570 escluso il Vajont. Ma i fiumi non hanno colpa se un giorno decidono di sfondare argini di cartapesta, trasformarsi in bombe d’acqua per la cattiva manutenzione delle sponde e trascinare tutto a valle. Venti disastri all’anno nel Paese dell’eterna emergenza. Tutto ciò mentre si continua a non finanziare una mappa idrogeologica seria del territorio, si continua a tagliare sulle manutenzioni e si continua a costruire in zone pericolose. Poi li chiamano disastri annunciati.

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