Expo, no mandolino

Profumo di pizza, una tazzulella ’e cafè e il gelato più buono del mondo. Il vento che spira dall’Expo parla di cibo, quindi di gusto, quindi di Italia per come la vorremmo pubblicizzare nel mondo.

L’occasione è notevole, lo scopo è nobile, ma siamo proprio sicuri di voler essere solo grandi cuochi, grandi camerieri, grandi produttori alimentari? L’effetto masterchef è divertente, ma se riteniamo che il nostro futuro debba essere essenzialmente nel food come vent’anni fa doveva essere essenzialmente nella moda (grandi fatturati e grandi aziende vendute agli stranieri) il rischio è che la maionese esca impazzita.

Così, a una settimana dall’Expo, ci sembra giusto ricordare che il nostro Paese si sostiene economicamente sull’industria e sull’artigianato, ha il primato nell’utensileria, vanta tre milioni e mezzo di imprese, la stragrande maggioranza piccole e competitive sui mercati mondiali nonostante il totale abbandono da parte dello Stato. Siamo davanti alla Francia, alla Germania, alla Spagna, nazioni nelle quali la grande industria non è stata parcellizzata, ma che statisticamente ci inseguono. Il nostro export nella meccanica e nell’elettronica è il secondo d’Europa dopo quello dei tedeschi. Neppure in piena crisi abbiamo perso la vocazione per la precisione e la duttilità. Cinesi e americani ci vogliono come partners, sennò andrebbero a fare shopping altrove. È vero, hard disk e power point stanno provando a prosciugare la nostra creatività, ma possiamo sempre vincerli facendoci venire un’idea o leggendo un libro. Ben venga l’Expo. Ma per favore lasciamo l’italiano spaghetti-mandolino dove stava, nel secolo scorso.

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