La domanda

«Signore, perché non hai fermato quelle mani?». Il parroco della chiesa di Santa Gemma a Roma pone la straziante domanda durante il funerale e più tardi abbraccerà la mamma di Luca Varani - il volto della disperazione, gli occhi chiusi - nel gesto più doloroso e normale di questa storia assurda.

Per un attimo tutto si ferma: l’inchiesta, le chiacchiere, i talk show, la rievocazione reiterata della mattanza, le tesi che si sovrappongono, le parole a vanvera, la rabbia, il patetico voyeurismo dal buco della chiave, le verità sgangherate di qualche sociologo, le presunte fragilità gay. Per un lungo momento, guardando la foto di un prete che abbraccia una mamma piegata dal dolore, in questa vicenda da b movie tutta sesso, sangue e cocaina irrompe un inatteso e benvenuto protagonista: l’umanità. E stende un velo di pietoso silenzio su una storia che sembrava un infinito sabba pagano scandito da grida belluine e da schizzi purpurei di follia.

I due assassini che si accusano a vicenda litigando sull’autore del colpo mortale, il padre di uno di loro che non si perde un programma tv dal quale enunciare fesserie assortite, la vittima uccisa «per vedere l’effetto che fa» dopo essere stata torturata per ore. Raramente nel mesto flusso della cronaca nera (che, non dimentichiamolo, è anch’essa vita, specchio della società con cui ogni giorno facciamo i conti); raramente c’eravamo imbattuti in un simile campionario di aberrazioni nichiliste. Poi il funerale, poi la semplice e dirompente domanda di un parroco a quel Dio «che atterra e suscita, che affanna e che consola», poi la mamma di Luca con gli occhi chiusi. Un attimo di pace che va raccontato, fissato, testimoniato. Prima che ricominci la canea.

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