La Grande Monnezza

Sotto la testata New York Times c’è un motto che caratterizza quel giornale da sempre: «Tutte le notizie che vale la pena pubblicare».

Un modo per far sapere a chi legge che non troverà un elenco indistinto di fatti e neppure una sfilata di stucchevoli opinioni politiche. L’altroieri il Nyt ha deciso che valeva la pena dare alle stampe un editoriale sull’Italia sbalordita da Mafia Capitale. Un commento acido nel quale campeggia la frase: «Non c’è angolo di Italia che sia immune dall’infiltrazione criminale». E poi: «Questa inchiesta solleva domande sulla capacità del Paese di riformarsi». E via di questo passo nel dipingere un cupo panorama millenarista che non incoraggerà di sicuro gli americani (investitori, turisti, appassionati in genere) a scegliere l’Italia come un Paese che vale la pena visitare.

Tutto in linea con la superficialità ormai endemica di certo giornalismo che non rinuncia all’approccio superficiale, da maestro di cerimonie, per dire la sua sugli altri. In primavera la Grande Bellezza, in inverno la Grande Monnezza, a seconda della moda del momento. Come se noi, in preda alla stessa acidità di stomaco, mettessimo insieme un minestrone in cui si ricordano gli studenti armati che sparano a scuola, i poliziotti nevrotici che ammazzano i ragazzini, le periferie del Midwest in cui, se sbagli una strada, rischi la vita per cinque dollari, le torture della Cia e certe porcherie alimentari per trarre la conclusione che gli Stati Uniti sono un Paese poco frequentabile. Sarebbe assurdo, perderemmo credibilità. «Non c’è angolo d’Italia che sia immune dall’infiltrazione criminale». La nostra massima attenzione per evitare tutto ciò (e quando è il caso combattere) è doverosa. Ma la morbosa attenzione del New York Times per il gusto di infierire è solo triste.

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