La multa
e il pennacchio

La gentilezza viene scambiata per debolezza. E questo è un guaio che diventa un fastidioso handicap psicologico per chi indossa una divisa e dovrebbe, prima di liquidare un problema con un timbro sulla fronte di chi lo pone, provare a comprenderne le ragioni.

Il preambolo ci è utile per spiegare una vicenda minimal, ma sgradevole, capitata a un nostro lettore sabato a Caravaggio. La persona, colpita quattro anni fa da ictus e ripresasi con grande vigoria ma con difficoltà nel camminare, si era recata al santuario per la Messa. Poiché i parcheggi per i portatori di handicap erano occupati, ha deciso di lasciare l’auto lì a fianco, badando a non intralciare la circolazione. E ovviamente ha appoggiato sul cruscotto, ben visibile, il tagliando.

Al ritorno - l’avrete indovinato - ha trovato la multa. Allora è andato alla vicina postazione dei vigili, che erano in ufficio ma non hanno preso in considerazione le sue spiegazioni perché quello «non era orario di ricevimento». Preso atto, ha contattato gli uffici per telefono il giorno successivo , ha raccontato la vicenda e ha ricevuto una risposta che non ammette repliche: «Non ci sono gli estremi per rimuovere la contravvenzione». E fin qui passi. Ma è la motivazione addotta a lasciare esterrefatti: poiché gli spazi riservati ai portatori di handicap erano occupati, poteva usare i parcheggi normali.

E poi, aggiungiamo noi, farsi 500 metri a piedi per andare al santuario. Ma quel piccolo dettaglio dell’handicap, nel frattempo, dove lo mettiamo? Il problema è sempre il pennacchio, che noi italiani siamo bravissimi a esibire anche quando non è il caso.

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