Le Termopili d’oro

Sono trecento come quelli delle Termopili, ma la loro resistenza sembra meno nobile. Si tratta degli ex dipendenti della Camera che hanno presentato ricorso contro il contributo di solidarietà stabilito dal governo per limare le pensioni d’oro e cominciare l’impervio cammino verso una (lontanissima) giustizia sociale.

Per capire il problema, come spesso accade in questi casi, è meglio affidarsi ai numeri. Si tratta di lavoratori che guadagnavano dai 150 ai 300 mila euro l’anno ai quali la legge impone un taglio con gradazioni a salire del 6%, 12% e 18%. Concretizzando, chi prendeva 10 mila euro di pensione dovrà perderne 600, chi 14.800 ne avrà 12.700 e via su questi livelli siderali di assegno di quiescenza. I più ricchi, invece di ricevere in busta 25 mila euro al mese, ne riceveranno 20.500. Avviso ai naviganti: non siamo impazziti, le cifre sono queste.

Le decurtazioni sono minime per quegli standard retributivi, ma gli ex dipendenti di Montecitorio sono in rivolta al grido: «Il versamento di solidarietà è illegittimo». All’ufficio preposto sono già arrivati duecento ricorsi contro il provvedimento. Da anni sosteniamo che la crisi si è fermata a Orte (diceva Flaiano, O Roma o Orte) e comunque davanti ai portoni dei palazzi del potere, dove la pubblica amministrazione è anche più casta della politica che la ingrassa. Entro una settimana la Commissione giurisdizionale per il personale dovrà giudicare i ricorsi. Speriamo che non li accolga, sarebbe uno schiaffo in faccia a milioni di italiani che tirano la cinghia da sette anni, sulle spalle dei quali poggia l’intero scricchiolante Paese. Sul tema credo non ci sia niente altro da dire, ma ancora tanto da fare.

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