L’economista
da caffè

Da qualche tempo l’ospite più blandito nei talk show televisivi non è il calciatore, non è la velina, non è il politico in continua decadence e neppure il giornalista tuttologo col monocolo o con l’orecchino. È l’economista.

Di solito indossa giacche su misura, cravatte a righe stile Oxford e idee educate da sette anni di recessione. Fa lo slalom fra i numeri, cita immancabilmente Keynes e ha un debole per il «bene comune» come se dovesse farsi perdonare qualcosa. Arriva immancabilmente da un’università americana o britannica dove per qualche tempo ha stupito gli studenti con il suo rigore scientifico. Altrettanto immancabilmente conta su consulenze di prestigio in un’agenzia di rating, dove una collaborazione non si nega a nessuno.

Ecco, questo signore simbolo della nostra epoca non ci azzecca mai. Ma proprio mai. La sua materia è così inconfutabile ed esatta che tende a sfuggire sempre da un’altra parte. Ultimo esempio: le previsioni della produzione industriale a settembre in Italia erano di un accettabile -0,2% e invece abbiamo subìto una frenata da -0,9%. Quelle su base annua erano di -0,7% e invece ci troviamo davanti a un baratro da -2,9%.

Non avevano intuito la crisi dei subprime, niente su Lehmann Brothers, niente di niente sui titoli sovrani, per loro la Grecia e Cipro erano solidissime fino a un minuto prima. Però danno lezione in Tv tutte le sere con una tale professionalità da far sembrare da Nobel la lettura dei fondi. Non quelli di investimento, quelli del caffè.

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