L’oro di Napoli è finito

di Giorgio Gandola

Dov’è finito l’oro di Napoli?La domanda era retorica già all’epoca di papà De Sica e della Loren, figuriamoci oggi che sull’orizzonte del golfo si profila il temporale del fallimento. Il Comune ha debiti per oltre un miliardo di euro.

Dov’è finito l’oro di Napoli?La domanda era retorica già all’epoca di papà De Sica e della Loren, figuriamoci oggi che sull’orizzonte del golfo si profila il temporale del fallimento. Il Comune ha debiti per oltre un miliardo di euro e la Corte dei Conti, proprio un paio di giorni fa, ha respinto il piano di rientro decennale dai debiti inoltrato dal sindaco De Magistris.

Bocciato per troppo ottimismo, avrebbero sintetizzato gli ex colleghi del primo cittadino, molto scettici sulla possibilità che una città con 10.031 dipendenti (costo annuo 423 milioni) e con altri 8.427 stipendi da pagare (gli assunti dalle società partecipate, totale 350 milioni) possa tornare ad essere virtuosa. Senza contare che l’apparato di riscossione riesce a far pagare tre multe su cento e che la gestione di tremila immobili di proprietà è in passivo. Ci sono tutti i segnali del caos permanente, della deriva irreparabile come è accaduto per due volte a Roma negli ultimi vent’anni.

E infatti De Magistris tende a mettere in atto la stessa strategìa di Roma: chiedere allo Stato di ripianare il debito. Il che significa una cosa sola: il resto d’Italia - anche quelle città virtuose che non possono toccare i loro risparmi per il patto di stabilità - dovrà mettere mano al portafoglio per consentire alla metropoli del Sud di tornare in pareggio per qualche minuto. Lungi da noi spingerci in un vacuo discorso leghista, qui si tratta di pura capacità gestionale e di rispetto per il resto del Paese. Napoli non è mai stata così vicina al fallimento. Ma di una cosa siamo certi: non fallirà.

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