Mozzarella in polvere

Il terzo nome più pronunciato al mondo per un alimento è «pizza»; uno dei marchi più prestigiosi è il made in Italy.

E noi cosa facciamo per salvaguardarli? Niente. Nessuno ha mai pensato di proteggere il marchio della margherita doppia mozzarella e nessuno si sta occupando dei ladri di nomi che imperversano nel mondo a danno dei prodotti italiani. In Brasile spopola la «pomarola», nel Maryland va alla grande l’olio «pompeian», in Germania si vende un’ambigua «zottarella», in California fa affari un’azienda che commercializza i pelati San Marzano prendendo a prestito non solo la ricetta ma anche il nome del paese. La scamorza «Salerno» arriva dal Canada, il salame «Napoli» dal Texas e in Inghilterra viene proposto un kit per produrre in casa la mozzarella con le bustine, con quali effetti non intendiamo verificare.

L’agroalimentare italiano è una risorsa formidabile, ma nella salvaguardia dei marchi non è mai stato così fragile. Sarà una maledizione delle nostre eccellenze: come ci copiano da sempre Armani e Bulgari, così hanno cominciato con il parmigiano e l’olio toscano. È un museo degli orrori alimentato da una legislazione interna del tutto insufficiente, da un’Europa che invece di aiutare complica le cose (vedi proteste al Brennero) e anche un po’ da Obama. Perché? Perché con l’embargo alla Russia ha bloccato i prodotti originali e ha fatto la felicità delle copie cinesi, che stanno inondando con nome italiano anche quel mercato. Una volta creata assuefazione a mediocri imitazioni e una volta sviluppato un palato di plastica sarà difficile tornare indietro. Per ora il giochino ci costa 60 miliardi di euro e 300 mila posti di lavoro. Tutti originali.

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