Ridateci la nebbia

Forse non ve ne siete accorti, ma sta scomparendo anche la nebbia. Non si tratta di una conversazione da bar, ma di una ricerca scientifica: lo ha stabilito il Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna, che ha studiato il fenomeno e ha verificato che dagli anni 90 ad oggi quella coltre avvolgente, romantica e micidiale (per gli automobilisti) si è manifestata il 47% in meno.

La notizia viene sottolineata come buona perché le goccioline analizzate nelle ultime stagioni - novembre è un mese favorevole al fenomeno - contengono meno inquinanti e un valore di acidità «ridotto di dieci volte, quindi prossimo alla neutralità».

Secondo i ricercatori la diminuzione va di pari passo con l’innalzamento della temperatura a causa del riscaldamento globale. Tutto ciò è avvenuto in Val Padana senza tagliare il Turchino come consigliava a Portobello alcuni decenni fa un tecnico temerario. E questo è un bene. La faccenda pone due piccoli ma sostanziali problemi. Il primo è una modifica di alcune abitudini culinarie derivate dalla tradizione contadina della Bassa. Chi aspetta che le verze gelino nelle notti di nebbia per cominciare a preparare la cassoeula dovrà cambiare strategia o chiedere ai cuochi di Masterchef. Il secondo riguarda il fascino di quell’impalpabile mantello attraverso il quale spuntava d’un tratto un campanile o un tenace sole all’alba, modificando la prospettiva del mondo e del cuore.

Difficile far capire agli scienziati del Cnr che la notizia ci immalinconisce più della nebbia stessa. Ma in questi casi siamo convinti che la realtà finisca per vincere sugli studi da laboratorio. Infatti l’altra sera fra Capriate e Trezzo non si vedeva a un palmo.

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