Schiamazzi in Camera (2)

di Giorgio Gandola

Prosegue con toni indignati la protesta dei dipendenti di Camera e Senato per il tetto che il governo ha voluto mettere ai loro stipendi: 240.000 euro al netto degli oneri previdenziali

Prosegue con toni indignati la protesta dei dipendenti di Camera e Senato per il tetto che il governo ha voluto mettere ai loro stipendi: 240.000 euro al netto degli oneri previdenziali, vale a dire 261.000 euro.

Stiamo parlando delle prebende massime di medici, traduttori, interpreti, consiglieri parlamentari, documentaristi, tecnici, ragionieri una volta raggiunta l’anzianità di 35 anni di lavoro. La loro reazione ha suscitato notevoli polemiche, anche perché la legge rappresenta un adeguamento doveroso al «decreto Irpef» previsto per la pubblica amministrazione.

Fino a ieri un centinaio di impiegati del Parlamento arrivava a guadagnare oltre i 300 mila euro, più dei parlamentari stessi eletti dai cittadini, che in media prendono 167 mila euro. Più dello stesso premier Renzi (114 mila euro), persino più del presidente della Repubblica (248 mila).

Nessuno pretende di sindacare l’importanza del loro lavoro, ma lo status di privilegio nel quale avevano allegramente nuotato per decenni non poteva continuare, nel rispetto di un Paese martoriato dalla crisi. Stupisce che un provvedimento così sacrosanto sia osteggiato dal Movimento 5 Stelle, che aveva chiesto di applicarlo prima ai politici; a noi va bene che si parta anche da qui, purché si parta.

Così, mentre le 25 sigle sindacali minacciano di difendere i privilegi dei loro associati fino in procura, vorremmo regalare un consiglio a coloro che si sentono vessati: date le dimissioni e mettetevi sul mercato. Poi ci saprete dire se trovate qualcuno che vi dà più di 18.000 euro al mese con la tredicesima. Auguri.

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